EUROPA DI CONFINE, Topografia della malinconia

Dopo il sillabario del cimitero ebbi a che fare col vero sillabario della prima elementare e mi sentii allo stesso tempo iniziato e confuso. Ogni lettera era collegata a una parola e un’illustrazione. Qual è una parola che comincia con la B?
BOG, “Dio”, dissi all’istante, che domanda facile! Ma qualcosa non tornava, la maestra sussultò e smise di sorridere. Venne da me, come se temesse che aggiungessi ancora qualcosa. Dove hai imparato questa parola? Dal cimitero. Allora una bambina dei primi banchi disse: Bulgaria! Bulgaria, compagna! Era la risposta esatta. Così la maestra fu tolta dall’imbarazzo: brava, bambina mia! E io mi sentii così solo col mio Dio. Strano che non potevano esserci due parole con la stessa lettera, come se il dorso della B fosse talmente fragile per sostenere su di sé queste due parole di così grande portata.

Georgi Gospodinov, Fisica della malinconia

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Per orientarci nella città di Sofia della quale, prima di arrivare, sappiamo pochissimo, e quando ce ne andremo, forse sapremo ancora meno, usiamo una guida turistica che si può tranquillamente definire “mainstream”. In ogni caso, non ce ne lamentiamo, né cerchiamo molto di più: non parliamo una parola di bulgaro, e vorremmo capire subito, per poterci ambientare, come si dicono un paio di parole di cortesia, tra cui una parola – blagodarjà – che forse non avremmo mai intuito essere l’equivalente di “grazie”, senza il piccolo glossario in appendice alla guida…
In ogni caso, pur essendo “mainstream”, il prontuario per la visita di Sofia ci appare subito un po’ bizzarro. Già nelle primissime righe, infatti, l’autore – un irlandese con passioni bulgare, mi sembra di ricordare – ci tiene a precisare che, nel centro della capitale, a poca distanza l’uno dall’altro, ci sono tre grandi luoghi di culto, dedicati, rispettivamente, a ognuna delle tre religioni monoteiste. Se la memoria non mi trae in inganno, si dovrebbe trattare della moschea di Banya Bashi, della sinagoga di Sofia e della cattedrale di Alexander Nevski.
Visitiamo tutti e tre i luoghi, che sono portatori, al loro interno, di tre storie diverse, adeguatamente riflesse nella diversità di quantità e qualità dell’arredo. In ogni caso, a imprimersi nella memoria è, prima di tutto, l’imponenza della cattedrale di Alexander Nevski, forse a causa del rigoglioso stile neo-bizantino dell’edifico, o forse perché questa è la tradizionale immagine da cartolina di Sofia.

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Ricordando come la cattedrale ortodossa sia dedicata ad Aleksander Nevski (1220-1263), principe di Novgorod, ossia a una figura-cardine della storia russa, emerge come l’intera costruzione sia stata voluta come omaggio alla Russia zarista e al suo contributo decisivo nel processo di indipendenza della Bulgaria, raggiunta nel 1878.
Sembra possibile, allora, proporre una piccola integrazione rispetto alla citazione scelta qui come esergo, tratta dallo splendido romanzo Fisica della malinconia (2011) dello scrittore bulgaro Georgi Gospodinov. L’autore racconta un ironico siparietto tra il narratore e la sua maestra elementare, allo scopo di descrivere il tentativo ideologico di oscuramento di Dio e delle tre religioni monoteiste durante il periodo socialista. Le tre religioni, tuttavia, hanno goduto sempre di ampia rappresentazione nella storia nazionale bulgara, ricevendo grande visibilità anche nel cuore topografico della capitale.
Se quest’ultimo dato salta all’occhio, non è altrettanto evidente l’annotazione che fa entrare in fregola l’irlandese autore della nostra guida. Infatti, la presenza, nel centro di Sofia, di un grande luogo di culto per ciascuna delle tre religioni monoteiste non è affatto, o almeno non è immediatamente, un segno del multiculturalismo originario, e oggi perduto, della Bulgaria…

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Del resto, è difficile arrivare a una conclusione analoga anche per luoghi emblematici della coesistenza storica tra religioni, come ad esempio l’Andalusia spagnola, anch’essa territorio di confine, in più di un senso, per l’Europa. Spesso rievocata nostalgicamente negli ultimi anni, la convivenza tra moros, judíos e cristiani a Granada e dintorni si interruppe tragicamente nel 1492, anno, sì, dell’impresa navale di Cristoforo Colombo, ma anche della fine della Reconquista, in Spagna, a danno delle componenti ebraiche e musulmane della popolazione.
Ciò non significa indulgere in affermazioni estreme, e politicamente molto connotate, come quella secondo cui “il multiculturalismo, o la convivenza inter-religiosa, non è mai stata possibile, né mai lo sarà”. Quello che sembra emergere tra le righe della guida è un altro trend di pensiero, che è abbastanza diffuso, negli ultimi tempi… In un’epoca che è stata chiamata sbrigativamente, e ideologicamente, “post-11 settembre”, infatti, ci si preoccupa spesso di risalire a un passato, spesso pre-moderno, di coesistenza felice tra culture e religioni. Si tratta, probabilmente, della spasmodica ricerca di un punto di riferimento storico, per poter contrastare, almeno a livello retorico, le difficoltà di convivenza in epoca contemporanea.
Tuttavia, pur essendo mossa da buoni propositi, questa retorica può condurre a esiti stravaganti, come anche una recente produzione del Girovago ha inteso evidenziare rispetto ad un’altra contraddizione di certe politiche interculturali nostrane, tese a valorizzare le diversità fino a farne compartimenti stagni e non comunicanti… Quasi fossero dei “barattoli”.
Apprezzare le qualità di un incontro inter- o trans-culturale non vuol dire necessariamente cercare le condizioni della sua possibilità in una età dell’oro perduta. Poniamo che un periodo di pacifica convivenza inter-culturale e inter-religioso precedente la modernità non sia mai esistito, in nessun luogo… Cambierebbe qualcosa, infatti, riguardo all’atteggiamento e alle decisioni da prendere oggi? E se si trattasse solo di una malinconia topografica, peraltro inventata? Non sarebbe meglio sciogliere le malinconie, elaborando i lutti ai quali sono legati, e guardare al futuro?

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