DJIBOUTI, Pezzi di carta e vite in gioco
Vado oltremare, a Gibuti, da più di dieci anni, a volte da solo a volte con la mia ciurma, per fare formazione ai colleghi d’ospedale e d’ambulanza. O perlomeno ci proviamo a fare formazione, attività che qui ha una sua fragilità precisa.
Noto da sempre che qua è tutto più complicato e non è una frase fatta. La facoltà di Medicina è aperta da pochi anni per cui i medici laureati non sono ancora molti. Lo stesso vale per gli infermieri, sempre in numero insufficiente, e per i tecnici anestesisti, che sono infermieri con la specializzazione in anestesia, ma senza la laurea completa in medicina.
Tornando ai miei colleghi infermieri, soprattutto quelli d’ambulanza del Servizio SMUR (Service Medical Urgence Réanimation), tutti loro mi confermano in questi giorni (come già sapevo da anni) che dopo la laurea non hanno più ricevuto aggiornamenti professionali e che non esiste neanche un centro di formazione dedicato.
Noi da dieci anni, con fasi alterne, proponiamo formazione ai nostri colleghi perché sono loro che ce lo chiedono. Prepariamo i corsi in Italia, tradotti in francese e adattati al contesto. Poi quando arriviamo qui è già capitato di scoprire che molto o quasi tutto è stato cambiato nel frattempo: personale trasferito ad altri servizi, riduzione d’organico, oppure necessità di corsi diversi rispetto a quelli preparati.
Così anche quest’anno, tra un saluto a qualche vecchio amico e le presentazioni alle nuove reclute, io e Gianluca cominciamo il nostro calendario di corsi, naturalmente alla mattina che è più fresco. Il programma è già cambiato perché ci viene chiesto di formare i nuovi autisti, assunti e impiegati in ambulanza senza nessuna formazione sanitaria. La nostra aula è lo stretto magazzino delle scorte SMUR, ma va benissimo perché siamo già in pochi e almeno, oltre a essere all’ombra, abbiamo una ventola che smuove un po’ l’aria. Riusciamo, incredibilmente senza intoppi, a spiegare la teoria e anche a far provare la mobilizzazione del paziente traumatizzato agli autisti nuovi.
Poi, all’improvviso, si manifesta la fragilità formativa: entra il centralinista SMUR per avvisare di una chiamata di soccorso. Tutti gli equipaggi in pochi secondi saltano sulle ambulanze parcheggiate fuori e, con le sirene bitonali e fisse accese, scompaiono all’orizzonte nel polverone punteggiato di luci blu intermittenti.
Con noi rimane solo il meccanico dello SMUR, volenteroso e interessato ospite d’onore del corso; ma poco dopo esce anche lui per tornare al radiatore che stava pulendo. Gli chiediamo per quale tipo di servizio sono uscite tutte le ambulanze: un pulmino con 15 persone a bordo si è ribaltato in corsa.
L’incidente è avvenuto su una strada sulla costa di fronte, cioè a più di un’ora d’auto da noi; l’allarme è stato dato dalla gendarmeria locale che sarà anche la prima, paradossalmente, a iniziare i soccorsi estraendo le vittime, purtroppo senza nessuna competenza. Tra l’altro, di questo tipo di incidenti ne accade circa uno alla settimana, in tutto il paese e ovunque ci sia una strada. La vita vale veramente poco da queste parti.
A causa, quindi, anche delle variabili di cui sopra, gli equipaggi SMUR sono insufficienti, così come le ambulanze e il materiale; a queste latitudini poi tutto si consuma prima, persone e oggetti.
Come le maree, i bisogni e le risorse calano e salgono. La nostra formazione purtroppo impatta contro questo mare impietoso e in perenne burrasca. Ma in questo mare fluido dove ci sono vite in gioco alla deriva galleggiano anche pezzi di carta come strani segnali nella corrente o come scialuppe e salvagenti lanciati nella tempesta.
Che pezzi di carta sono dunque?
Sono gli atti medici delegati che autorizzano i nostri colleghi infermieri o tecnici anestesisti, che lavorano sulle ambulanze, senza il medico con loro, a intubare e ventilare pazienti in arresto respiratorio, a defibrillare quando necessario e a infondere farmaci d’urgenza. Questa fluidità e apertura mentale, data dal bisogno, è prassi normale da anni qui a Gibuti (così come in molti altri Paesi progrediti e non).
In realtà in un mese e con molta fatica siamo riusciti a formare e aggiornare alcuni colleghi sulle ultime linee guida. Ecco quindi il paradosso finale: tutto sommato, la fragilità formativa e le carenze di risorse vengono solo in parte compensate grazie alla fluidità che, a queste latitudini, si succhia con il latte materno per sviluppare la capacità di sopravvivenza.
Noi abbiamo la formazione aggiornata, loro compiono atti medici delegati che noi, infermieri d’ambulanza in Italia, non abbiamo.
Pezzi di carta e vite in gioco.
Dedicato a V.M., N.O. e S.B., giovani colleghi infermieri italiani, emigrati in Gran Bretagna per lavorare
e a C.M. collega infermiera italiana appena laureata.