DJIBOUTI, Le ruspe buone
In Africa è facile fare tutto e il contrario di tutto.
Detto “africano”
All’inizio era sembrato facile, o perlomeno, abbastanza lineare: l’Associazione dei Genitori e il preside chiedevano una nuova scuola in muratura per sostituire quella vecchia di lamiera. I fatti seguenti sono abbastanza noti e qui li riassumo in breve: noi dell’Onlus CrewforAfrica accogliemmo la richiesta e realizzammo il progetto, così che a dicembre 2015 è stata inaugurata la nuova sede che ospita più di 300 alunni, molte attività didattiche e formative.
Ma succede a volte che i progetti non seguano la rotta per la quale sono tracciati.
Mohamed Preside constatò infatti che la nuova scuola era troppo lontana e quindi non si potevano trasferire là tutti gli alunni che abitavano vicino alla vecchia struttura. I genitori, inoltre, chiesero giustamente di non demolire quest’ultima, anche se era una baracca malsana di lamiera e polvere, altrimenti non avrebbero potuto continuare a istruire i figli. Così mi comunicarono che non avrebbero demolito nulla.
Mi venne in mente allora quanto sentenziava tempo fa il mio amico Soubèr: «In Africa è facile fare tutto e il contrario di tutto». Attribuiva così all’intera Africa quel giudizio per me abbastanza tritatutto e un po’ troppo massificante. Lo diceva per sottolineare negativamente una certa faciloneria nel fare le cose e nel cambiare idea in toto, scompigliando le carte. Replicai che il suo era un giudizio superficiale, un luogo comune estendibile anche all’Europa, alle Americhe o, al limite, a Paesi meno progrediti di ogni continente. Provai anche a convincerlo dicendogli che, allo stesso modo, dare a lui dell’africano era una generalizzazione, ben sapendo che lui definiva se stesso prima di tutto come «uomo del clan Darood» (fra i tanti originari della Somalia), poi somalo, poi gibutino e solo infine africano. Non lo convinsi. Infatti prima ribadì tutte le definizioni di se stesso e poi ripeté il suo giudizio sull’Africa, senza sconti. E così ci ridemmo su.
Ma se in fondo Soubèr avesse ragione pur avendo torto?
Voglio dire: ok, è una generalizzazione, ma se andassimo oltre, come se fosse solo una questione di punti di vista?
La scuola vecchia va demolita perché malsana? Ma se la demolissimo, toglieremmo una chance a molte famiglie. E allora cambiamo davvero il punto di vista e totalmente la nostra rotta per fare qualcosa di nuovo! Demoliamola e facciamola nuova, meglio che si può rispetto al contesto! Chi se ne importa se tracciamo una rotta ignota? Nuova rotta per me vuol dire nuovi punti di vista per nuove opportunità. In realtà, quando circa due anni fa inauguravamo la nuova scuola, mi chiedevo già come non perdere la chance di averne una in più, seppur cadente, misera e di lamiera, che però educava efficacemente più di 300 alunni.
In questi giorni incontro spesso Mohamed Preside in entrambe le sedi della Scuola Miriam. Ci sono già da fare lavori e migliorie per quella nuova, ad esempio una tettoia aggiuntiva sul tetto a terrazza, per fare più ombra e altri lavori di manutenzione: qui il sole ogni giorno scartavetra democraticamente esseri viventi e oggetti inanimati, con la stessa delicatezza e i risultati di una smerigliatrice. Ma tornando alla scuola vecchia il terreno è troppo piccolo: i confini sono così vicini che le pareti sono in comune, da un lato con l’officina di un fabbro e dall’altra con un più che caratteristico ristorante di pesce. Non è quindi possibile costruirci sopra in mattoni, l’unica soluzione è abbatterla e rifarla. Ho pensato a nuove pareti in legno con intercapedine per l’aria, pavimentazione in cemento e ceramica (meglio della terra battuta per il fango quando piove), finestre per l’areazione e una cisterna interna per la scorta d’acqua.
Mi sembra una bella e nuova rotta, non poi così ignota. Solo, mi dispiacerà non vedere più la vecchia porta in legno della diréction, uno dei miei simboli preferiti insieme alla vecchia insegna.
A giugno gas alle ruspe, quelle buone!
L’uomo complica perché la semplicità lo spaventa
Giuseppe Festa, Il passaggio dell’orso