VENEZUELA, Una vita al sapore di rum
Questo Natale sono stata nuovamente in Venezuela, terra natale del mio compagno. La “seconda volta”, per definizione, ha sempre un sapore diverso, un’aria consapevole che permette di penetrare quello strato di superficialità che si era assaporato la volta prima.
Il soggiorno è iniziato con il matrimonio di una famigliare a Caracas, ragione principale della nostra visita, che mi ha dato l’opportunità di capire in pochi minuti come le nozze “latine” differiscano da quelle italiane: noi mangiamo, loro bevono. E bevono rum.
Durante il ricevimento c’è un’aria di festa non indifferente, si arriva in location dopo la cerimonia religiosa e gli sposi vengono immediatamente catapultati in pista a suon di salsa e merengue, gli invitati li seguono e inizia la fiesta. Mentre le luci da discoteca e il dj fanno il resto, i camerieri passano incessantemente ad offrirti qualcosa da bere; idratarsi è fondamentale, quando si bruciano calorie.
Il rum ce l’hanno nel sangue (in tutti i sensi, mi direte voi). È come la musica. Non esiste una festa in casa di amici o parenti in cui non domini quel colore ambrato nei bicchieri, così come non esiste un ritrovo o una cerimonia senza musica.
Curiosa di andare a fondo nella questione e di capirne le origini, decidiamo quindi di andare a visitare la rinomata Hacienda Santa Teresa, tenuta storica a un’ora da Caracas in cui si produce ed esporta uno dei più famosi rum venezuelani: l’omonimo Santa Teresa, dal nome della figlia del Conte di Tovar che nel 1796 decise di utilizzare i terreni della zona de El Consejo esclusivamente per la coltivazione di canna da zucchero.
Grazie all’acquisizione della hacienda nel 1885 da parte di Gustav Julius Vollmer Ribas, di origini tedesche, si introdussero sofisticati macchinari di rame di importazione europea che permisero di produrre in grandi scale e fecero sì che la marca Santa Teresa si convertisse nella terza marca commerciale più influente del paese.
La tenuta in sé è qualcosa di spettacolare e suggestivo. Costruita letteralmente sui binari ferroviari che, anticamente, attraversavano la cittadina de El Consejo (ristrutturati per finalità turistiche e culturali), il podere racchiude nelle forme geometriche dei suoi terreni un’interessante simbologia legata alla raccolta, al ringraziamento e alla preghiera.
Il terreno è umido perché ha da poco piovuto, ma il sole appena uscito scalda tantissimo e decidiamo di chiedere informazioni per poter svolgere la famosa Ruta del Ron [Strada del Rum].
Come poteva iniziare il tour guidato della tenuta, se non con un bicchiere da cicchetto in mano? All’entrata, viene consegnato ad ogni partecipante al tour un bicchierino trasparente (in apparenza molto piccolo, in realtà perfino troppo grande!), con l’obiettivo di degustare tutte le varietà di rum Santa Teresa prodotte, contemporaneamente alle spiegazioni teoriche della guida (io, lo ammetto, non sempre sono riuscita a tenere il passo).
Cominciando con il Gran Reserva (conosciuto anche come pecho cuadrado, [petto quadrato], per la caratteristica forma della bottiglia) siamo poi passati al Selecto, poi al Linaje, per finire con l’edizione speciale “1796” Ron de Solera, così chiamato per il metodo soleras che ne contraddistingue l’invecchiamento.
Dopo aver visitato le varie stazioni quali fermentazione e distillazione, añejamiento [invecchiamento] e imbottigliamento, siamo stati portati a visitare la casa – e la storia – della famiglia Vollmer, così come i talleres [laboratori] dei Maestri Roneri.
Infine, last but not least, vi chiederete perché lo slogan dell’azienda, che compare scritto persino sul bicchierino, è: «Giochiamo a rugby, facciamo rum». Oltre ad essere andati a fondo nel tema del rum in Venezuela, abbiamo conosciuto infatti una realtà ancora più profonda e impressionante: il Progetto Alcatraz promosso da Santa Teresa, volto al reinserimento sociale di migliaia di ragazzi grazie al gioco del rugby, inteso non solo come sport ma soprattutto come strumento di lotta alla povertà e delinquenza.
L’idea nacque quando nel 2003 una banda di delinquenti cercò di rapinare la tenuta a mano armata. Una volta catturati, venne data loro la possibilità di scegliere se scontare la pena in prigione o lavorando presso la hacienda. La risposta è scontata; tuttavia, oltre a lavorare, i “detenuti” giocavano anche a rugby e ne apprezzavano i valori, imparavano cosa significava essere un team, imparavano a rialzarsi dopo ogni caduta e a superarsi in tutto quello che facevano.
Attualmente, il Progetto Alcatraz ha ricevuto numerosi premi internazionali e diminuito notevolmente la violenza nel Municipio Revenga, zona in cui si trova la hacienda e si “reclutano” i ragazzi con problemi disciplinari.
Terminata la visita, come poteva mai finire questa splendida vacanza, se non imballando bottiglie pregiate di rum per poterle imbarcare e portare in Italia? Forse ora capisco meglio perché a chiunque varchi la soglia di casa nostra a Bologna, non diamo neanche il tempo di togliersi il cappotto per pronunciare la fatidica frase: Cosa ti offro da bere? Rum?