La Gran Dama del Messico

Sono due mesi che vivo a Città del Messico e ogni volta che provo a descrivere questa realtà non so da dove iniziare; potrei parlavi di come sono diventata brava ad attraversare la strada e a schivare i buchi per terra, della ragazza del camion che compra e vende materassi usati (famosa in tutta la Repubblica grazie alla voce nasale che suo padre registrò quando aveva sette anni), dei mariachis di Piazza Garibaldi di notte, del microteatro e degli hipsters del quartiere radical-chic della Condesa; ma ogni volta che inizio, ecco che qualcosa mi distrae: sono gli occhi neri e profondi di un ragazzo sulla metropolitana, i baracchini di tacos e gorditas lungo le strade o il sorriso beffardo di una Catrina. È proprio da quest’ultimo personaggio che voglio iniziare a raccontare il Messico; un Paese che come ha detto Carlos Fuentes, non si può raccontare.

La Catrina – lo scheletro imbellettato che ride alla morte – è forse una delle immagini più conosciute della cultura messicana. Ma cosa si nasconde dietro quel cappello di piume che ricorda l’aristocrazia europea ottocentesca?

Lo scheletro della Gran Dama è un personaggio emblematico che rappresenta l’identità del Paese durante le tre decadi di dittatura di Porfirio Díaz (1876-1911).
Generale a soli trentuno anni, Díaz è una figura molto discussa che ha guidato il Paese verso la modernizzazione e ha lasciato a Città del Messico incredibili opere architettoniche. Tra queste troviamo lo splendido palazzo del Museo Nacional de Arte, realizzato dall’architetto italiano Silvio Contri (Grosseto 1856 – Parigi 1933).

Museo-Nacional

Díaz è spesso stato oggetto di satira da parte di umoristi e caricaturisti che si facevano burla della classe borghese negli anni del porfiriato. Durante questa epoca le donne vestivano abiti francesi e usavano stoviglie in porcellana, al posto delle terraglie di Talavera tipiche delle cucine tradizionali messicane. Tutto questo emulare il vecchio continente sembrava grottesco e ridicolo agli occhi di José Guadalupe Posada (1832 Aguascalientes – 1913 Città del Messico) autore di oltre 20.000 opere tra illustrazioni, ritratti e incisioni, e predecessore dell’immagine della Catrina.

Catrina-aristocratica

Posada fu l’inventore della calavera garbancera (scheletro di una picara), quella che oggi conosciamo con il nome di Catrina grazie al dipinto Sogno di una domenica pomeriggio nell’Alameda di Diego Rivera, dove il noto pittore riprende l’immagine della calavera garbancera ribattezzandola madre di tutti i messicani, e dandole il nome di Catrina, di origine europea. Nel gioco della lotería, una sorta di tombola messicana con 54 carte che rappresentano scene di vita quotidiana, la carta del Catrín raffigura un galantuomo ben vestito.

Fonte

Nulla esclude che Diego Rivera si sia ispirato a questa carta per coniare il nome Catrina.

matrimonio-Catrina

In questa fotografia scattata nel Museo de Katrina di San Miguel Allende nello stato di Guanajuato, è raffigurata la scena di un tipico matrimonio al tempo del porfiriato, in cui le invitate, anche se non di classe alta, cercano di attirare l’attenzione con vestiti di velluto e cappelli di piume. Le signore rimangono ad aspettare, ma la sposa è stata lasciata sull’altare, come recita il detto popolare:

Me dejaste como novia de rancho vestida y alborotada
(Mi hai lasciato all’altare come una contadina vestita ed emozionata)

Questa espressione è il riflesso di un comportamento tipico dei paesini di provincia messicani, in cui molte donne aspettano tutta la vita di sposarsi e il giorno del loro matrimonio vengono “piantate” all’altare. Posada ritrasse le dame come scheletri poiché la morte è l’unico appuntamento a cui nessuno può fuggire!

Oggi la Catrina fa parte dell’immaginario popolare messicano, e sebbene non tutti conoscano la sua storia e la leghino soltanto al giorno dei morti, il suo volto è rivisitato da molti artisti, come il mio coinquilino Pierre Pierre, direttore creativo del Fashion Film La llorona, un omaggio alla dama più famosa del Messico che si muove sulle note della rinomata canzone.


In attesa di conoscere delle Catrine viventi nel giorno dei morti (due novembre), attraverso le strade della città, frastornata dai rumori costanti che accompagnano tutte le giornate dei chilangos (abitanti di Città del Messico): le sirene della polizia, l’abbaiare dei cani e il canto degli uccelli.

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