DJIBOUTI, L’ouverture

ouverture  Un giorno, di qualche milione di anni fa, probabilmente era mattina molto presto, alcuni vulcani decisero di eruttare tutti insieme. Sputarono tonnellate di lava incandescente, macigni, pietre, polvere e vapore.
Per raffreddarne i bollori, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano decisero di abbracciare quei vulcani, dandosi appuntamento nel Golfo di Aden. E così l’acqua li fermò a est creando quella tinozza bollente, crepata sul fondo, che è Djibouti. A nord, ovest e sud c’erano già l’Etiopia, l’Eritrea e la Somalia, ma ancora nessun geografo era nato per battezzare tali luoghi…

Djibouti nacque così, più o meno.
Da qui parte la Rift Valley, la profonda ferita (la crepa sul fondo) che scende a sud, giù verso il Kenya e oltre e che, in futuro, farà staccare il Corno d’Africa mandandolo alla deriva, dritto a impattarsi contro l’India.

Da quelle eruzioni, a Djibouti, non sono cambiate molte cose. Sono rimasti alcuni crateri, a bocca aperta, come vecchi cannoni di galeone, ribaltati e incrostati di ruggine.
O meglio, nessuno s’ accorge dei cambiamenti perché i fenomeni sismici sono minimi ma quotidiani, quasi a confermare una volontà d’emigrazione verso est.
Oltre ai crateri e al mare, che ospita tre isolette popolate di mangrovie, granchi, volatili e qualche serpentello acquatico, a cambiare il paesaggio ci pensano due laghi salati, messi lì un po’ a caso, e un piccolo deserto. Uno dei due laghi salati, praticamente grattato con le unghie dai pastori nomadi Afar per ricavarne un po’ di sale commestibile, poi trasportato in lunghe carovane di dromedari, viene da loro definito “il nostro giardino”. Secondo l’unica guida che ho trovato la definizione è poetica, ma a me da conferma che, per sopravvivere da queste parti, oltre a essere tosti come solo i nomadi sanno esserlo, ci vuole più humour che poesia.

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Il deserto, più roccioso che sabbioso ma con bei miraggi, è rallegrato anche da timide gazzelle (sono sempre timide le gazzelle…), svariate famiglie di babbuini e manciate di scorpioni, almeno dieci tipi diversi; altri animali, che ci sono ma non si vedono così facilmente, lo rendono in realtà meno deserto. Ci sono anche, sempre messe a caso verso nord, due o tre catene montuose che, sforzandosi, arrivano a 2000 metri, facendo il solletico ai piedi dell’Acrocoro Etiopico: non si sa grazie a quale miracolo ospitano, vicine, una foresta tropicale sempre verde e una foresta pietrificata.

ouverture Per il resto, quello che un occhio non avvezzo al deserto vede, sono solo sassi, intervallati a pietre, alternate a rocce. Le rare piante basse e le acacie spinose sono contese dalle capre e dai dromedari degli Afar. Noti anche come Dancali, sopravvivono da sempre nei territori del nord, in maniera inspiegabile. Di solito, quando si viaggia sulle strade dell’interno, si scorgono dapprima solo i loro animali, apparentemente incustoditi, ma, il guardiano, da dietro una roccia più lontana vi ha già visto, prima che voi lo vediate. Spesso, nel riverbero tremolante, donne stracariche di fascine di legna marciano nella polvere e nel vento, come strani fiori colorati. Oppure, sedute all’ombra minima di un’acacia, aspettano pazientemente vicino a bidoni metallici vuoti, in attesa che arrivino le autocisterne del governo con l’acqua potabile. L’acqua arriva dalla capitale sulla costa, territorio popolato soprattutto dal gruppo di origine somala.

ouverture Qui fa così caldo che l’unico corso d’acqua, fiume è un eufemismo, spesso evapora molto prima d’avvicinarsi al mare.

Da ottobre ad aprile, a seconda delle zone, si va dai 30 ai 40 gradi, con rare ma potenti piogge che resuscitano torrenti prima invisibili, detti ued o wadi, creando così brevi inondazioni, ma anche rinverdendo colline, sempre stupite di tale dono. Da maggio a settembre invece la temperatura va dai 35 fino ai 50 gradi con più del 80% di umidità sulla costa.

Ogni volta che torno da queste parti, per lavorare all’ospedale, rivedo sempre un mio amico Afar, originario delle colline a nord: una volta mi ha raccontato che di notte, quando la temperatura scende a ben 25 gradi, sente addirittura freddo.
Come è normale, qui tutto, a partire dal caldo e dal freddo, va compreso in chiave afar e somala.
Benvenuti nel Corno d’Africa.

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