Di chef tirannici, cameriere arriviste e amori segreti

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Molto impressionato dalle sue sventure, sentii che un’offerta minore di nove pence sarebbe stata indizio di assoluta brutalità e durezza di cuore. Così gli porsi uno dei miei tre rilucenti scellini: egli lo ricevette con molta umiltà e venerazione, e subito dopo lo fece saltar per aria con un colpo di pollice, per veder s’era buono.

(C. Dickens, David Copperfield)

Furbi, premurosi, bugiardi, eleganti.
La figura del cameriere è un topos letterario per le sue caratteristiche di tramite tra due mondi, quello che c’è dietro la facciata e quello in mostra. Il cameriere fa della doppiezza un’arte, è lo schermo umano che copre il caos poco invitante della cucina alla vista dei clienti. È l’attore che recita la commedia al suo unico spettatore, il cliente (inconsapevole di essere uno spettatore), come il cameriere che serve il piccolo David Copperfield e finisce per mangiargli l’intero pranzo e per scucirgli una generosa mancia.

Il mondo della cucina ha le sue regole e i suoi ruoli: nel laboratorio teatrale al Centro Zonarelli proviamo a giocare con i personaggi del mondo della cucina di un grande ristorante. Chef, camerieri, inservienti, cuochi, l’uno contro l’altro e sempre tutti insieme per far girare la macchina della produzione. In una cucina dalla rigida disposizione piramidale, la fazione dei cuochi è schierata contro quella dei camerieri. Tra un piatto sporco e un altro l’amore sboccia tra una cameriera e un lavapiatti, mentre, al di sopra di tutti, uno chef ieratico e statuario viene issato su un piedistallo con un cucchiaio in mano, con la sola funzione di assaggiare le pietanze preparate dai cuochi. In un’altra cucina un povero novellino al suo primo giorno da cuoco se la deve vedere con il nonnismo dei colleghi più anziani, che non fanno nulla per facilitargli il compito, anzi lo rendono ancora più impacciato e pasticcione. Uno chef ormai anziano, che in altri tempi ha fatto la fortuna del locale, insiste a presentarsi sul posto di lavoro combinando un disastro dietro l’altro, sotto gli sguardi premurosi e pieni di rispetto dei giovani colleghi. In un clima di delazioni e sospetti una cameriera cerca di far carriera svelando alla proprietaria tutti i segreti del personale di cucina. Una chef tirannica tratta la cucina come il proprio terreno di dominio e il personale come schiavi. Due camerieri in costante battibecco si contendono l’attenzione dello chef distraendolo fatalmente dalle vere incombenze della cucina.

Ed ecco che, in controluce, si stagliano personaggi shakespeariani nelle nostre cucine dell’immaginazione: Romeo e Giulietta, Falstaff, Re Lear, Malvolio, Capuleti e Montecchi. Stesse passioni, stesse lotte, stessi conflitti, anche se si aggirano tra i tavoli di una sala e tra fornelli e lavandini, maneggiano piatti sporchi, uova e carote: tutto, ovviamente, immaginario. Uno Shakespeare con le mani incollate dalla pasta, stretto in stanzini affollati e pieni di vapore, dove le temperature dei conflitti schizzano in alto, esagerate dalla fretta, dalla condivisione forzata degli spazi, dai gomiti stretti e le facce accaldate.
Nello Shakespeare del quotidiano succede che ogni tanto tutto questo si sospende, i conflitti si bloccano, e la materia prima passa, senza intoppi, di mano in mano. Succede quando bisogna marciare al di sopra dei contrasti, quando il dovere chiama ad essere puro ingranaggio della macchina della produzione, e non c’è finale di tragedia, soltanto, voilà, un altro piatto è servito.

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