CASABLANCA, Il Giardino di Mohamed Abdou
Mohamed Abdou fu un pensatore politico egiziano del XIX secolo. Riformatore di tendenze moderniste, criticava l’inadeguatezza e la corruzione della classe politica del suo tempo.
Così ci informa un cartello posto all’entrata di un giardinetto pubblico straordinariamente ben curato, che contrasta piacevolmente con il contesto caotico e trasandato del centro di Casablanca. Accanto al primo, un altro cartello spiega che quello spazio pubblico è posto sotto la tutela di un’associazione di vicinato (Association Espace Mohamed Abdou, appunto) che ne ha ripristinato il verde, progettato l’arredo, e ne cura quotidianamente la manutenzione e la pulizia. Diversi altri cartelli, poi, occhieggiano discretamente tra le piante per informare i passanti sulle caratteristiche delle essenze arboree ospitate nel giardino, sottolineando la capacità di alcune tra esse di assorbire le sostanze inquinanti di cui purtroppo la città abbonda.
Si è sviluppato in Marocco negli ultimi anni un diffuso movimento di rinnovamento civico che si esprime attraverso l’associazionismo: una forma di democrazia agita prima ancora che invocata, che fa appello innanzitutto alla responsabilità del cittadino, si prende gli spazi per restituirli alla collettività, opera concretamente piuttosto che teorizzare. Un rinnovamento riscontrabile nelle pratiche agite, che ha preceduto e accompagna in parallelo il movimento studentesco e giovanile detto “del 20 febbraio” (dalla data della sua prima manifestazione, nel 2011), attestato su una dimensione più tradizionalmente politica (e dunque guardato con molto sospetto dal potere costituito). Il cittadino si è accorto di poter avere un ruolo attivo e di primo piano nel dialogo-scontro con il potere. Da sempre i marocchini hanno chiaro il concetto che il Potere non è solo un governo, un partito o anche una dinastia regnante, ma è il makhzen, vocabolo che indica l’intero apparato dello stato, l’intera classe dirigente che lega a sé le istituzioni ed è a sua volta legata indissolubilmente alla corona e ai cosiddetti “poteri forti” con tutto il senso di opprimente parassitismo e soffocante controllo che ciò comporta. Un sistema totale più che un governo, che sarebbe ridicolo pensare di poter cambiare con una “semplice” elezione (infatti i partiti al governo si sono più volte alternati, ma il makhzen è rimasto sempre se stesso).
Sembra che oggi, però, stiano cominciando a individuare una strada per cambiare le cose. E’ una strada che in un certo senso inverte gli abituali termini della questione e parte dal basso: inutile infatti dare l’assalto al palazzo d’inverno con l’unico risultato di sostituire le facce al potere con altre facce, per cambiare il potere bisogna cominciare col cambiare la società. È una strada lunga e si può percorrere solo lentamente, è comprensibile quindi che i giovani del 20 febbraio mordano il freno insoddisfatti, ma forse lo spuntare qua e là di spazi pubblici ben curati dalle persone stesse che li utilizzano e l’evidentissimo rarefarsi dei funzionari che chiedono bustarelle e mance per ogni banale servizio pubblico sono segnali che non vanno sottovalutati.