CANTIERI METICCI 4, Del cader con grazia e con ragione
Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio teatrale di Cantieri Meticci.
Contributi di Michele Benincasa e Lucia Bonini.
Disegni: Michele Benincasa
Saremo quello sguardo, null’altro che quello sguardo,
per trasformarci in spettatori di quel che fu la nostra
pesante gravità, la nostra vanitosa e sciocca futilità.
(J. Starobinski, Introduzione in Montesquieu, Lettere Persiane, Rizzoli, Milano, 2006).
La condizione del funambolo porta con sé qualche inevitabile rischio, anzi si potrebbe affermare che la precarietà è parte intrinseca di questa affascinante pratica.
Il funambolo è sempre in una posizione necessariamente vacillante e instabile, la sua è un’arte misteriosa e solitaria: affronta la vita spingendosi al limite del possibile, e come nella vita «o si precipita o si sta fermi oppure arriviamo a farcela», per citare Nietzsche, uno che di abissi e precipizi dell’anima se ne intendeva.
Il funambolismo dunque come l’arte di vivere: l’uomo e la donna in equilibrio sulla corda percorrono anche la corda metaforica tesa sulle difficoltà quotidiane della vita.
E di funambolismo si è parlato lunedì 23 marzo al Centro Civico Zonarelli di San Donato, durante le prove del laboratorio teatrale di Cantieri Meticci per richiedenti asilo politico. L’ospite d’eccezione della serata è stata attrice, danzatrice sulla corda e funambola di origine svedese, ha lavorato in ambito circense per molti anni, perfezionandosi all’Istituto di Arte Scenica di Pontremoli. Helena Kågemark ha fatto del “funambolismo filosofico” il punto di partenza del suo lavoro e lei stessa ama definirsi “funambola e filosofa”.
«Camminare su una corda sottile cercando di mantenere l’equilibrio è importante» spiega Helena al termine del Llaboratorio «ma l’equilibrio non è tutto, ancora più importante è la perdita di equilibrio, molto più interessante dell’esercizio eseguito perfettamente è la caduta, ci sono più possibilità, c’è più tensione creativa, più spazio immaginativo». Del resto, la vita stessa è un movimento continuo, imperfetto, si cade e ci si rialza, vivere in fondo è avere il coraggio di restare nel disequilibrio e nell’imperfezione. Il coraggio di cercare, provare.
E allora via, da soli, a coppie o a tre, camminando su pietre sconnesse al centro del cerchio, bendati, cercando di raggiungere gli altri, un altrove, la salvezza forse, a tentare un approdo da qualche parte, al sicuro, sia pure per un po’. Ci si regge, ci si appoggia, nella precarietà dello stare in equilibrio e dell’andare.
Anche i tre fratellini kosovari, sempre presenti alle prove, sperimentano. Con quella agilità spavalda e seria dei ragazzini che hanno già visto troppo, per la loro età.
«Se perdi l’equilibrio lo perdi del tutto? Cos’è un aiuto?» chiede Helena al gruppo.
«Prima di aiutare gli altri devo trovare io stesso l’equilibrio, dentro di me, o non saprò aiutare nessuno».
Gli errori sono come doni – dice spesso Helena a quelli che incespicano o cadono – così come il ritrovare il silenzio e l’immobilità sono ossigeno in un’epoca di assordante cacofonia.
Suggestioni preziose ma non so quanti le abbiano effettivamente raccolte: il lavoro di Helena è intenso, poetico e forse richiederebbe uno spazio più piccolo per essere accolto e compreso, una maggiore concentrazione a cui non hanno certo giovato un certo andare e venire e un chiacchiericcio continuo…
Parole: Lucia Bonini
Cosa sono i Diari da uno spettacolo?