ESODI 5, Intermezzo (extracomunicante)
Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio interculturale Esodi del Teatro dell’Argine.
Contributi di Elena Guidolin e Teresa Vila.
Disegni: Elena Guidolin
L’intervallo delle prove: cinque minuti per ripigliare aria e bere acqua. Così, giunta alla metà del mio percorso teatrale, non senza aver accumulato una certa venerabile esperienza, mi fermo un attimo a stilare questo piccolo Prontuario per il Giovinetto che Vorrebbe Scrivere i Diari di un Laboratorio Teatrale Interculturale.
Chiuso fuori da tutte le porte, ti ritroverai ai margini dei margini della comunicazione, fuori dall’italiano, fuori dalla scrittura, fuori dalle azioni del teatro. Se non ci vuoi restare sotto, devi dimostrare la tenacia, la tecnica e l’intrepidezza di un apprendista samurai, per poter compiere questi temerari passi:
- Azione. Per scrivere il Diario di un Laboratorio Teatrale Interculturale, dovrai prima di tutto frequentare un Laboratorio Teatrale Interculturale.
- Meditazione. Dovrai essere disposto a ripetere la parola “interculturale” infinite volte, fino a che non si svuoti di significato e diventi una litania che ti mandi in trance e ti porti direttamente al nirvana. In preda allo sconforto, inizialmente penserai di abbandonare l’impresa, o quanto meno arriverai a maledirti e a chiederti se non ci sia un altro modo per definirlo…
…E in effetti no, non c’è, come t’insegnerà la: - Pazienza (altresì detta, Pedanteria). Dovrai affrontare (a colpi di noia) le incompatibilità di linguaggi espressivi diversi. A teatro le persone le vedi, se hanno un accento straniero quando parlano te ne accorgi, al colpo d’occhio stabilisci se sono belle, buffe o bionde. Quando scrivi, invece, sei obbligato a descrivere, a dire tutto per esteso, e così il ragazzo che hai davanti diventa un “ragazzo straniero”, un “ragazzo africano”, oppure un “ragazzo giovanissimo”. Se non lo fai, avrai una storiella interessante che però parla d’altro. Se non lo nomini, il tuo Laboratorio Interculturale non esiste: eppure di quello vuoi e devi parlare, anche a costo di piegare la tua scrittura e a perdere un po’ di pepe nel racconto.
- Velocità. Giocherai rincorrendo un tempo impossibile. Una storia ha un prima e un dopo, una sequenzialità obbligata, dei nessi logici causa-effetto; l’improvvisazione, invece, sarà sempre più veloce, perché di tempo non ne ha. L’esercizio teatrale è la scatola dentro la scatola perché è concentrico: si scava sempre intorno allo stesso punto. Il teatro ripete e ripete come quando si canta una canzone, ogni volta come la prima volta, è un effimero occhiolino dimentico di sé, privo di qualsiasi passato o futuro. La scrittura, al contrario, è proprio il presente che non possiede.
- Violenza. Dietro le quinte, in macchina, al pub, improvviso pedagogo ed antropologo, ti scannerai e avventerai contro di chi, sventurato, si ritroverà al tuo tavolo, sviluppando complicatissimi piani di insegnamento teatrale per ragazzi stranieri – con l’attenzione, certo, di non metterti mai in un piano di superiorità rispetto a loro, ma al contempo con l’estrema intenzione di farlo nei confronti di chi ti sta seduto a fianco: se necessario, passando dalle parole alle mani.
- Super-udito. Ma poi, incamminato verso la via della saggezza, imparerai a tenere le orecchie aperte e a cogliere i suggerimenti degli amici, che magari hanno parole nuove da inventare, mentre dicono: «ma quale laboratorio teatrale interculturale, questa è l’invasione degli extracomunicanti!».
- Super-vista. Infine, dopo tante difficoltà e sgomento, avrai un nuovo sguardo-perforatore che saprà vedere la struttura nascosta della realtà che ti circonda. Cercando di spiegarti con dei ragazzi stranieri, sminuzzerai il tuo linguaggio fino a renderlo inedito e irriconoscibile ai tuoi stessi occhi. Così scoprirai come perda di senso chiedere, ad esempio, «fa’ il cameriere impettito» a chi non ne conosce l’iconografia caricaturale (magari inventata dalle nostre pubblicità in tv: salone bianco, scalinata brillante; un maggiordomo in abito impeccabile, il braccio piegato ad angolo retto con un tovagliolo immacolato, porge in un vassoio d’argento un trionfo di cibo per gatti ad un persiano pigro e pelosone).
Chiedere ai ragazzi di improvvisare e variare su un tema non è altro che chiedere un gioco tra esplosioni ed implosioni di stereotipi. Esiste linguaggio più complicato e pieno di dettagli del teatro? - Salto carpiato. Se poi tutto questo lo applicherai ad una frase semplice come «facciamo un po’ la parodia di Romeo e Giulietta», scoprendo che metà dei partecipanti non l’ha mai sentita nominare…. Quale vertiginoso balzo tra codici ti ritroverai a fare?
(… Ma poi si fa amicizia, e ci si diverte, e tutto comincia a funzionare. Apri la scatola nella scatola, il coniglio che il prestigiatore tirerà fuori per le orecchie sei tu. Esiste un linguaggio più immediato e universale del teatro?)
Parole: Teresa Vila
Cosa sono i Diari da uno spettacolo?