CANTIERI METICCI 8, L’essenziale

Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio teatrale di Cantieri Meticci.
Contributi di Michele Benincasa e Lucia Bonini.


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avatar_MicheleDisegni: Michele Benincasa


In negativo

È strano.
Sono stati sparati colpi a raffica
su di noi e il ventaglio non mi ha colpito.
Tuttavia avrò presto il benservito
forse in carta da bollo da presentare
chissà a quale burocrate; ed è probabile
che non occorra altro. Il peggio è già passato.
Ora sono superflui i documenti, ora
è superfluo anche il meglio. Non c’è stato
nulla, assolutamente nulla dietro di noi,
e nulla abbiamo disperatamente amato più di quel nulla.

Eugenio Montale, Quaderno di quattro anni, 1977.

Una delle parole attualmente più usate (e a volte abusate) nel linguaggio giornalistico, politico e persino in quello comune, è identità.

Il concetto d’identità, ci spiegano le scienze sociali, riguarda il modo in cui l’individuo costruisce – o rappresenta – se stesso come membro di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, ecc. e in relazione ai gruppi esterni, percepiti e classificati come alterità. Tutti noi, dunque, rivestiamo più ruoli; di conseguenza, abbiamo un’identità multipla nell’ambito sociale, un’identità che muta in relazione al contesto e al ruolo che vi si assume. Tutti noi costruiamo noi stessi o un’immagine di noi.

Troppo spesso quando si tira in ballo l’identità si fa riferimento a qualcosa di immutabile, con confini che si pretende siano netti e indiscutibili, irrinunciabili; per difenderli si è disposti ad azioni anche violente.
Da più parti, politici e opinionisti in prima fila, si innalza il vessillo dell’identità come concetto primario, universalismo dogmatico sinceramente improponibile (noi italiani, noi padani, ecc.), ponendo l’accento sul concetto di purezza del noi, idea pericolosissima sul piano storico e sociale. Ma se oggi quasi nessuno osa parlare di purezza della razza, molti farneticano di purezza dell’identità culturale da difendere e contrapporre agli altri. Sarebbe molto meglio porre l’attenzione su tendenze ed esigenze che invece agiscono in senso contrario, sui confini labili e sfumati del noi, sull’apertura e la comunicazione con gli altri, perché, come direbbe l’antropologo Francesco Remotti, «noi siamo gli altri»: vi è un’identità di sostanza (questa sì) tra noi e gli altri, al di là delle differenze. In un’epoca in cui tanti, troppi, auspicano confini, cancelli e fortezze sorvegliate, occorre invece dare più peso al fare e al costruire insieme che all’essere, liberarsi dalle catene delle identità illusorie e accettare le molteplici «identità fluide transnazionali», per citare Zygmunt Bauman.
Dunque, chi o che cosa siamo? Cosa ci definisce? Cosa ci rende donne e uomini?
Domande pesanti, complesse e che sostanziano il lavoro degli attori del laboratorio teatrale per richiedenti asilo, al Centro Zonarelli. Nel racconto di Nathan Englander, Gli acrobati, il gruppo di ebrei polacchi che deve cercare di salire su un treno si deve spogliare del superfluo per non essere riconosciuti. Già, ma cos’è l’essenziale? Per il rabbino capo, l’essenziale consiste nell’eliminare tutto ciò che appare come ridondanza di ornamenti; così, gli hassidim polacchi salgono sul treno in biancheria intima, con le teste e perfino le facce rasate.
Spogliarsi di tutto per salvarsi. Ma è davvero possibile? Cosa ci è strettamente necessario? Qual è per ognuno di noi il grado zero della nostra identità? I nostri documenti? I nostri oggetti o le capacità che ci vengono riconosciute? Cosa o chi possiamo non essere più?

avatar_LuciaParole: Lucia Bonini


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