Teatro, letteratura e cibo
A incontrarsi o a scontrarsi non sono culture, ma persone. Se pensate come un dato assoluto, le culture divengono un recinto invalicabile, che alimenta nuove forme di razzismo. Ogni identità è fatta di memoria e oblio. Più che nel passato, va cercata nel suo costante divenire.
(Marco Aime, Eccessi di culture)
Ogni lunedì sera al Centro Zonarelli circa 60 persone s’incontrano al laboratorio teatrale di Cantieri Meticci. Oltre la soglia della sala, che ospita ciclicamente lezioni di canto, arti marziali per bambini e tanto altro, ogni persona mette in gioco il proprio portato culturale nel laboratorio. Obiettivo: creare un luogo del divenire in cui gli incontri inneschino esperienze, conoscenza, creatività. A ogni edizione del laboratorio la Compagnia ha disegnato un campo nel quale giocare, perché è necessario avere delle regole, altrimenti non ci si diverte più. Ogni anno vi si propone un focus più o meno preciso; si è lavorato sul viaggio dal Candido di Voltaire, sulla scomparsa dello straniero, dal romanzo Il Castello di Kafka. Nel 2014 invece è la volta del cibo. Questo non significa che si mangia e basta (a volte capita), ma che il cibo è il punto di vista scelto della ricerca teatrale interculturale di questa edizione del laboratorio. È un argomento enorme.
Restringiamo ancora il campo: ci sono due ingredienti fondamentali, il teatro e la letteratura. Il teatro è la matrice dell’incontro tra le persone, la matrice della creatività messa in gioco. Il teatro ci presta il suo linguaggio, un linguaggio meraviglioso (sarà naif ma lo dico lo stesso) laddove le parole del quotidiano non riescono ad arrivare. La letteratura ci presta le strutture narrative in cui inserire le nostre narrazioni, quelle originali che nascono da noi, ci guida nella ricerca di terreni comuni, nel senso di spazi in cui è possibile la comunicazione. La pratica di condividere letteratura è una prassi del laboratorio, per citare Pietro Floridia, regista di Cantieri Meticci: «Il laboratorio si propone di utilizzare la letteratura come luogo di universali in grado di farsi terreno di avvicinamento e di dialogo tra le esperienze, i contesti di provenienza e le identità particolari dei migranti e nostri».
Quindi il campo di gioco di quest’anno è il cibo che si fa storia. C’è un numero infinito di storie di cibo, raccontate e ancora da raccontare. Noi scegliamo quelle in cui il cibo è un punto di vista centrale, in cui è motore o ostacolo di un evento, unisce o divide persone, scatena o risolve eventi. Il cibo è passaggio obbligato della materia vitale, è un punto quanto mai privilegiato dal quale guardare ciò che abbiamo intorno. I più grandi narratori lo hanno scelto per raccontare storie: pensiamo all’incipit de I Buddenbrook. Mann dà inizio al ritratto della grande famiglia, il punto più alto della sua parabola discendente, con un grande pranzo. Un attore del laboratorio ci racconta un pezzo di storia egiziana attraverso la mulukhia, una verdura alla base di un piatto tipico egiziano e diffusa in tutto il mondo arabo, il cui consumo fu vietato dal sovrano Al Hakim bi amr Allah, re d’Egitto intorno al 996, perché considerato cibo ad uso esclusivo delle classi aristocratiche. Le storie sono davvero tante. In questo diario ve le racconteremo, tappa per tappa fino allo spettacolo che nascerà da questo lavoro. Intanto, ci godiamo il nostro laboratorio. Un episodio, un assaggio: una sera Ilias e Alì alla fine del lavoro insieme, hanno offerto al gruppo bevande per tutti i gusti e pollo allo yoghurt cucinato da loro. Per 60 persone.
L’etnocentrismo si traduce in una sorta di “gastrocentrismo”: infatti il cibo è contemporaneamente un elemento che avvicina e che crea separazioni e distanze e non di rado l’esclusivismo culturale è dovuto a pregiudizi di ordine alimentare. In conclusione la cucina demarca le personalità etniche forse ancor più del modo di vestire, forse solo come la lingua e la religione sanno fare.
(Alessandra Guigoni, Questioni antropologiche sul relativismo culinario)