DJIBOUTI, Dry Balbalà cocktail (ovvero l’inaugurazione della nuova Scuola Miriam)
L’apertura del container Giorno…+1
La dogana ha chiamato ieri, cioè il giorno dopo che ho smesso di contare i giorni in cui la dogana non chiamava.
E così stamattina Miriam, Ahmed Autista, il nostro amico Charmarke e io, puntuali alle 8.30, entriamo nel piazzale assolato del transitario che ha in custodia il nostro container. Parcheggiamo i pick-up all’ombra e aspettiamo il doganiere per l’apertura e l’ispezione. Il luogo è deserto, silenzioso e apparentemente nessuno dei dipendenti, a parte la guardia, tre corvi e un cagnetto, è ancora arrivato. Da fuori invece, a poche centinaia di metri, giungono mille rumori nevrotici: sono le strade piene di TIR da e per l’Etiopia, la città, il complesso del porto e i nuovi cantieri cinesi per costruire la ferrovia.
Il mare osserva paziente.
Per ingannare l’attesa percorro nel silenzio lo spiazzo semivuoto calciando polvere finché non trovo il “mio” container. Lo riconosco dal colore, da alcune scritte che ricordavo ma soprattutto dal sigillo che avevo messo io stesso in Italia. Il tempo di girargli intorno ridendo da solo e scattare qualche foto, che si palesa un’auto con il funzionario della dogana a bordo. Nello scarso mezzo minuto successivo si materializzano simultaneamente dall’iperspazio (o iperspiazzo…): l’impiegato del transitario, un muletto solleva bancali, una mezza dozzina di magri facchini ultrasessantenni, l’autista con il nostro camion preso a nolo e infine la guardia con un tronchese in mano.
Miriam rappresenta l’ospedale e io la mia onlus, per cui, accertato questo, il funzionario può dar l’ordine di far saltare il sigillo. A ciò provvede uno dei camalli (gli scaricatori), forse il capo, che porta il gilet arancio di sicurezza annodato al collo come una pashmina. Tra l’altro si chiamano proprio così anche a Gibuti, hamalles come in Liguria; questa parola, infatti, prima che dal ligure arriva dall’arabo; e la mia memoria va inevitabilmente agli amici (s)caricatori spezzini.
Apriamo le porte e via all’ispezione: io e Miriam confermiamo che è tutto materiale umanitario in donazione all’Ospedale Balbalà. Il doganiere fa scorrere veloce lo sguardo all’interno, poi si gira sorridendo e con tre semplici parole «Tutto a posto» cancella tutta la tensione per l’attesa di questi giorni: finalmente è tornato nostro ciò che era nostro e ora può diventare loro!
All’istante, tutti corrono e urlano come pazzi: Ahmed sbraita ordini in somalo buttando cartoni a tutti i camalli arretrando sempre più dentro al container, io seguendo Ahmed grido ordini in francese misto spezzino ai camalli che mando con i banchi sul camion, Charmarke segue me spedendo i camalli con la roba per l’ospedale verso il pick-up. Tutti cerchiamo di non essere infilzati dal muletto che, sollevando una nuvola di polvere, rimbalza avanti e indietro inforcando bancali. Miriam, da esperta, si è già defilata in sicurezza e fa telefonate di lavoro.
Nel giro di trenta minuti è tutto pronto: Miriam con un pick-up va verso l’ospedale, noi tre con l’altro pick-up e il camion carichi di banchi e camalli finalmente facciamo rotta verso la nuova scuola a circa 12 km!
All’arrivo troviamo un sorridente Mohamed Preside con almeno tre sorridenti dozzine assortite di papà, ragazzi e bambini che circondano il camion e in poco tempo ne travasano tutto il carico nella scuola: avevamo temuto di non trovare volontari che aiutassero e invece la solidarietà nel quartiere, insieme all’aspettativa, è alta e in molti hanno risposto.
Ho lasciato Mohamed Preside felice a sistemare e a godersi la vista di sedie, lavagne e banchi e sono tornato a fare il secondo carico. Ora abbiamo pochi giorni per organizzare l’inaugurazione.
L’inaugurazione della nuova Scuola Miriam
La scuola, senza l’insegna che dice che è una scuola, non è una scuola, punto. E così nel quartiere c’è confusione: chi crede alle parole del preside che sia in effetti la nuova scuola, chi sospetta sia un nuovo albergo di qualche speculatore della baraccopoli (?!?), chi sta a vedere e aspetta l’inaugurazione. Abbiamo finalmente concordato con Mohamed Preside il progetto dell’insegna che, dopo essere stata dipinta, qualche dubbio lo ha levato, almeno ad alcuni.
Poi il programma in sé dell’inaugurazione non è complicato: si accoglieranno gli invitati (i rappresentanti del consiglio di quartiere, dei genitori, alcuni amici italiani residenti a Gibuti che hanno dato una mano generosa alla scuola e altri) e, dopo i discorsi di rito, guideremo gli ospiti nella visita dei locali con annesso rinfresco. Infine il preside, i rappresentanti dell’Associazione Miriam e io terremo un breve discorso per tracciare la storia del progetto realizzato, la storia passata e il futuro della Scuola Miriam.
Già il futuro. Ma chi lo conosce il futuro? Purtroppo, a causa dei tempi di costruzione prolungati, ormai l’anno scolastico è già iniziato e c’erano dubbi sul debutto della scuola nel mese di dicembre; inoltre altri problemi come la distanza eccessiva dalla scuola vecchia in lamiera, che comunque continua ad essere aperta alle lezioni, crea difficoltà al trasferimento degli studenti e degli insegnanti. Nuove spese in arrivo come l’allaccio per la corrente elettrica e l’assunzione di personale per le pulizie e altro aumentano il senso di precarietà. Le spese di costruzione sono state coperte da un generoso donatore, ma il suo contributo, da convenzione scritta, finisce con la chiusura fine del cantiere. Insomma c’è più di un motivo per non godersi a pieno la gioia della festa d’inaugurazione che comunque procede nei preparativi. È stata fatta una bella pulizia generale, le aule e i locali sono stati arredati, le pareti decorate; oltre a quella di Crewforafrica sono state appese anche le bandiere con i loghi delle altre associazioni di Bologna che sostengono la scuola. È stato allestito perfino un piccolo palco per i discorsi, fatto con bancali e un telo colorato.
E così abbiamo inaugurato la scuola.
Abbiamo accolto gli ospiti che sono rimasti stupiti, felici ed emozionati e noi, altrettanto stupiti, felici ed emozionati, abbiamo pronunciato i nostri discorsi. Abbiamo quindi guidato gli ospiti nella visita in tutti i locali, fino al tetto da cui si spazia con lo sguardo su tutta Balbalà, fino al mare.
Poi Mohamed e io abbiamo aperto il rinfresco nell’aula professori che, per motivi di budget, consisteva in: sei aranciate, sei toniche, sei cole e sei bottigliette d’acqua. Mentre offriamo da bere ho suggerito a Mohamed di andare oltre la scuola e di ampliare l’offerta dell’istituto a corsi e laboratori, così da attirare risorse per il futuro; gli ho detto che avrei inviato macchine da cucire e computer visto che è ciò che si chiede anche a Balbalà. Lui è d’accordo e sorridendo mi rivela che il giorno prima aveva raccolto l’iscrizione di venti nuovi bambini della zona, che altri venti si sono aggiunti in mattinata e che altri ne sarebbero arrivati fino a sera e il giorno successivo. Inoltre il giorno dopo avrebbe iniziato le lezioni perché è ciò che chiedono i genitori del quartiere: se la scuola è aperta deve fare lezioni, anche se è già dicembre. Hanno ragione, non si può perdere tempo con le paure. Ci sono già anche richieste per corsi di informatica oltre che di taglio e cucito.
Alla fine abbiamo anche inventato un nuovo cocktail; ora non vi dirò quali ingredienti vengono da me, quali da Mohamed Preside, da entrambi o dai nostri compagni di questo viaggio, ma, qualunque cosa voi ne pensiate, spero che sia di vostro gradimento.
Dry Balbalà Cocktail: nell’ordine che vi aggrada mettete nello shaker 1/5 di sorridente stupore appena colto, 1/5 di legittima paura dell’ignoto, 1/5 di umana inesperienza, 2/5 di gratitudine fresca, aggiungete a volontà coraggiosa incoscienza tritata, dai 2 fino ai 6 cucchiai colmi di determinazione pura (va bene anche l’ostinazione, secondo il gusto), non dimenticate pazienza q.b. (ma q.b.?), due cucchiaini da caffè di creatività ma soprattutto mettete l’ingrediente fondamentale: un pizzico di intenzione o consapevolezza (chiamatela come vi pare) che tutto andrà bene perché è così che deve andare e così andrà. Mescolate, non agitatevi.
Congratulazioni a tutti voi per la realizzazione di un sogno che sarà il futuro di tanti bambini e siamo lieti di aver potuto contribuire insieme a voi a che ciò accadesse!
Bisogna crederci sempre e con determinazione! GRAZIE!
Buon Natale a tutti
Gabriella – CENTRO EUROPA UNO
Grazie di cuore per il vostro sostegno davvero importante.
Sì, bisogna crederci sempre e con determinazione!
Stefano