BUENOS AIRES, Ricchezza, un giorno avrai bisogno di me

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Il taxi a scacchi giallonero ha, oltre alla Madonna di Guadalupe, l’adesivo di Valentino Rossi e i sedili in finta pelle, pochissima abitudine ad andare piano e a fermarsi agli stop, cosa che mi fa subito innamorare di questa terra. Il rischio, la disperazione, la corsa eterna a corollario di una preghiera senza un dio, ma con tantissimi cristi sulla terra. Cristi di gesso.
Arriviamo a Buenos Aires che, una volta messi gli zaini a tacere sul pavimento del sempre sicuro circuito Airb’n’b, iniziamo a calpestare.
Quartiere di Recoleta, con il suo cimitero lussuoso, e subito il pellegrinaggio a Evita, che per l’eternità non risiede “in Perón”: questo spiega molte cose!
Le “quadre”, su cui si basano tutte le città argentine, sono grandi fucilaie dritte, perché qui la misura è in passi – nel senso di andare, e forte. Quartiere Palermo: si intravede la congrega di studenti, occhi gonfi e caffè. Neri al mattino, i murales colorati indicano subito la strada che cerco, ovvero, “dove risiede il cuore luminoso di questa popolazione”, “dov’è carità, c’è grazia”. Grandi murales anarchici raffigurano uomini e trasformazioni in animali che cambiano pelle, in bestie enormi e affamate, e poi campi di mais e simboli sacri, la grande lotta contro il transgenico, lotta dei contadini e dei resistenti!
I resistenti, già… Qui si capisce una cosa: la gente ha pelle e attributi! Qua si vive ogni cinque anni in bancarotta – ci racconteranno poi della paura attuale del cambio di governo, pericolo di un ripiombare al nero – si pagano tutte le cose a rate, anche la spesa. Ma qua la gente ha un tocco di randagio e colorato che è irresistibile. Qui si lotta sempre. Non hai niente, ma la città è invasa di teatri e, più in generale, di un bene riconosciuto a chi lo pratica. La música, da tutte le parti. O i mercati… Qui passi col rosso hai la maglia del Boca le cuffie e una faccia poco raccomandabile, ma resisti, e rispetti il passato, gli avi, si vede, si percepisce, non c’è niente da fare, lo sento che è così.

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Buenos Aires Capital Federal è cosmopolita come le grandi città sanno essere, strabilia il fatto che sia inmersa nel verde dei parchi squisiti, in mezzo al cemento, in una continua rinascita duellante. Un continuo via vai di anime, e soste col mate su panchine colorate.
I colori, i colori sono polvere e luce, belleza indefinita. Cercando bellezza contro i governi; cercando belleza, attimo che salva, ognuno di noi, dal real quotidiano.
Penso che non vi è differenza dal continente da cui arrivo riguardo all’errore sociale, che è consapevole e cinico, cioè: rendi il povero più povero e il ricco più ricco, siamo lì per quanto riguarda il dramma.
Qui, però, hanno i nervi tesi e sono pronti a sbranare, e quotidianamente, vivono liberi nel loro selvaggio spirituale. Qui, quando il sistema esploderà e la ricchezza sarà vana, un giorno, la terra avrà bisogno di essere riamata, e la democracia libera, unione libera di un popolo. Ricchezza dell’umano, che smetterà l’abitudine a dimenticare gli ultimi a sfruttare i medi per fagocitare brama liquida.
Dirà: «Vita, ho bisogno di te», dirà che è ancora possibile costruire ponti indistruttibili di parole, perché possibile è non smettere mai di saper volare sulla terra con ali che carezzano tutto il dolore che c’è, in avorio, e libero consenso anarchico.

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