IRAN, Due ragazze – Parte 2
È una giornata calda e insieme camminiamo tra le rovine di Persepoli, io con la mia camicia da viaggio (quella della mamma di 30 anni fa), loro con il chador. Siamo un trio anomalo in mezzo alle famiglie iraniane e agli sparuti gruppi di turisti…
Ho conosciuto Azar al mausoleo di Shah-e Cheragh: sono in questa sala interamente rivestita di mosaici di specchi, con il naso all’insù, persa nell’incanto e lei mi si avvicina sorridendo “Hello, your friend asked me if I can tell you something about this place”. [Ciao, il tuo amico mi ha chiesto se posso raccontarti qualcosa riguardo a questo posto. NdR] Il mio amico è Arash, soprannominato l’angelo di Shiraz, che mi sta accompagnando per la città e che vorrebbe spiegarmi mille cose, ma non può perché non parla inglese… Lui è rimasto fuori, qui entrano solo le donne. E così io e Azar iniziamo a parlare e io finisco per chiederle di venire con me a Persepoli l’indomani e ora siamo qui, su questa terra antica e rovente, io, lei e la sua amica Mahbube.
Azar studia management del turismo e ha lavorato come guida a Persepoli perciò arriva con il suo quadernetto di appunti e un libricino ordinato quanto vissuto. Mahbube, più grande di qualche anno, insegna inglese e oggi è lei a rispondere alle mie domande e a tradurre laddove Azar non arriva.
Osservo gli uomini incisi nella pietra secoli fa, lo sguardo va ai due chador neri che svolazzano al vento: due sagome nette che si spostano e risaltano, ma allo stesso tempo si fondono con l’ambiente che ci circonda. Il nero e l’ocra, la terra bruciata e i loro occhi neri e fieri.
È quasi mezzogiorno, il muezzin canta. Ci rechiamo insieme alla sala di preghiera, togliamo le scarpe, laviamo le mani e il viso ed entriamo. Mi siedo vicino ad una parete, Azar mi si siede accanto poi con uno sguardo dolce mi affida libricino e quadernetto, fa due passi avanti e inizia la sua preghiera. Mahbube ci raggiunge e io le guardo… le bocche che sussurrano parole sconosciute, gli occhi socchiusi, i volti seri e sereni. Accanto a me due donne con due bambini, una delle due prende in grembo il più piccolo e inizia ad allattarlo. Mi guardano incuriosite, loro, sì, loro guardano me incuriosite e sorridono.
Azar e Mahbube vivono con la loro famiglia e attendono di trovare un marito per lasciare la casa del padre ed avere una propria famiglia. Non hanno un fidanzato e non possono averlo, la loro religione non glielo permette: un giorno arriverà un uomo e, se le valuterà buone mogli e buone madri, manderà la propria famiglia a chiederle in sposa. Una volta fidanzati ufficialmente potranno frequentarsi: andare al cinema, andare al ristorante insieme, ma non prima, prima si potranno solo vedere in presenza di altre persone.
“Ma Mahbube, come fate a sapere tu e lui che potete andare d’accordo se nemmeno vi frequentate?”
“Ci frequentiamo da fidanzati e se proprio ci accorgiamo che non andiamo d’accordo, si annulla il fidanzamento. È semplice”.
“Certo…”
Guardo Azar e mi sorride con lo sguardo e capisco che sorride della forza di Mahbube e delle sue radicate convinzioni conservatrici.
“Noi vogliamo indossare il chador. Non siamo obbligate, molte ragazze scelgono di non portarlo, perché vogliono essere moderne e assomigliare alle donne occidentali. Noi pensiamo che il chador ci protegga. Nell’Islam la donna è ritenuta una creatura preziosa che va protetta, è come una perla che deve stare nel suo guscio. Il nero del chador calma lo sguardo degli uomini, noi non vogliamo mettere in mostra la nostra bellezza… è un dono che facciamo ai nostri mariti: non apparire e non destare il desiderio di altri uomini. Un giorno ho conosciuto un ragazzo australiano che mi ha chiesto se non avrei voluto “piacere” di più… Io gli ho risposto: ‘Sei contento se cammini per strada accanto alla tua fidanzata o a tua moglie e gli altri uomini la guardano con desiderio?’ Lui mi ha risposto di no ed è ovvio, nessun uomo lo vuole! E allora perché stupirsi se ci copriamo e nascondiamo i nostri corpi?”
“Ma, Mabhube, non vi è d’impaccio? Non… non avete caldo?”
“No, perché lo portiamo con la Fede, lo portiamo credendoci. Dovessimo smettere di credere diventerebbe insopportabile.”
Mi allontano per andare ai servizi e quando esco trovo Azar senza chador e senza velo, davanti allo specchio. Indossa un paio di jeans neri e un maglioncino verde, precisa e compunta e penso che io… indosserei la tuta anche sotto il chador, quella da casa probabilmente, tanto chi la vede. Lei invece è carina e ci tiene a farmi vedere che in fondo, è una ragazza “normale”. Ride del mio sguardo sorpreso: “Vuoi vedere come mi metto il velo e il chador?”
E allora inizia una serie di avvolgimento, spilla, piega, contropiega, spilla. Alla seconda mossa mi sono già persa nell’abilità delle sue mani…In due minuti è tornata l’Azar con il chador nero e l’ho pensato, sì, per un attimo ho pensato “che peccato”! L’effetto è quello di una luce che si spegne.
Ma loro ci credono e chi sono io, chi siamo noi per metterlo in discussione?
Vi scrivo da Mashad, la città santa per i musulmani Sciiti che vengono in pellegrinaggio alla tomba dell’Emam Reza, il primo Emam che seguì Maometto e stamattina Azar mi ha scritto questo messaggio:
“I love Emam Reza! And I wish I could go to Mashad again and stay at the shrine forever… Please say to Emam all these sentences. Please.” [Io amo Imam Reza! Spero di poter tornare a Mashad e stare al santuario per sempre… Per favore riferisci a Imam queste parole. NdR]
Certo Azar, lo farò.