ESODI 1, La cornice
Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio interculturale Esodi del Teatro dell’Argine.
Contributi di Elena Guidolin e Teresa Vila.
Disegni: Elena Guidolin
Desconocer que cada cosa tiene su propria condición y no la que nosotros queremos es, a mi juicio, el verdadero pecado capital, que yo llamo pecado cordial por tomar su oriundez de la falta de amor.
Misconoscere che ogni cosa ha la sua condizione e non quella che noi le richiediamo è, a mio giudizio, il vero peccato capitale, che io chiamo il peccato cordiale, perché ha origine in una mancanza di amore.
José Ortega y Gasset
Inizia il laboratorio teatrale Esodi, ci partecipano quasi una sessantina di persone: giovani e non giovani, italiani e non italiani, con documenti e… finiamola qui. Al Teatro dell’Argine di San Lazzaro, la lezione ha una natura differente da quella di un corso regolare. Tanto per iniziare, perché siamo in tantissimi: la sala d’aspetto si è riempita velocemente – in maniera sempre più preoccupante – e già fare un cerchio per guardarsi tutti in faccia è praticamente impossibile. Con la nostra serpentina si occupa ogni centimetro libero di parete, rendendo il cerchio più che altro un quadrato sbilenco.
Sono così tanti e così emozionati che la stanzetta, fino a un secondo prima neutra, spoglia e abbandonata a se stessa, ora vibra di tensione. Primissima lezione, momento delle presentazioni. Un misto di aspettative e perplessità: nessuno ha ben chiaro perché è lì: l’hanno convinto, ci è stato portato. Del resto, quando si arriva in Italia e non si riesce a capire – continuamente – quello che sta dicendo la gente che ti circonda, non si ha mai troppo chiaro quello che succederà. Catturare l’attenzione di tutte queste persone diventa un’impresa cruciale e fondamentale, che ti sfida a essere all’altezza, e ti chiede il massimo della concentrazione per non lasciare che il gruppo vada allo sbando.
Improvvisazione: un ragazzo al centro della scena, la cornice vuota di una finestra in mano, vuole capire chi sta arrivando verso di lui, per descriverlo agli altri – suoi colleghi di un ipotetico albergo – che gli stanno tutti accalcati dietro in un gruppo sgomitante che cerca di conquistarsi uno spazio per sbirciare dalla finestra. Tramite le parole, il ragazzo dovrà farci capire chi sta arrivando, per fare cosa e con che intenzioni. Chi vedi, see, regardes? They are, ils sont, sono turisti che entreranno nel nostro hotel. Il ragazzo che parla, però, sembra angosciato. Parla concitato in mandingo, un suo collega a lato incalza in inglese «What? Is the police?», dietro ancora una ragazzetta si dispera: «Coooome la polizia??». Il ragazzo con la finestra in mano si avvicina, si avvicina, vuole vedere meglio. Tutto il gruppo lo segue e si strattona per arrivare a vedere. Il ragazzo dice «Is.. a man… is a man.. I can’t see». Poi di colpo cade a terra, gli occhi chiusi, la cornice si adagia sopra di lui, il gruppo lo attornia in un improvviso silenzio e lo guarda spaventato: gli hanno sparato.
Le storie funzionano alla grande e potrebbero continuare per ore. Il dentro e il fuori sono separati da questa cornice di legno vuota, che rappresenta la finestra. L’hotel con il suo meccanismo preciso e il mondo lì fuori. Qualcuno che deve essere servito e dei servitori. O al contrario, qualcuno che penetra timidamente in un ambiente che ignora, e coloro i quali ne conoscono alla perfezione tutte le regole.
Cosa vedi dietro la cornice?
Diceva il gran saggio José Ortega y Gasset: «Io sono io e le mie circostanze». Quel che si trova dall’altra parte cambia anche chi guarda, ma quel che si trova dall’altra parte cambia anche in base a chi guarda. Chi arriva, cambia a seconda che tu sia un quindicenne di San Lazzaro, un ventenne del Ghana, un ragazzo arabo, una signora rumena. Incorniciato dal legno della finestra, chi arriva – un turista, un passante, un pover’uomo – si ritrova incorniciato dal legno della finestra e messo in scena, staccato dal mondo dai confini di un obiettivo, guardato meglio proprio perché attraverso un filtro.
Il diverso, e come sarà questo diverso, e che vorrà, ‘sta volta. Spiare nascosto dalle pareti, al riparo, e chissà che quella sagoma che vedi arrivare, che si avvicina piano piano, non sia proprio tu. Tu che ti guardi da un lato e dall’altro della cornice.
Parole: Teresa Vila
Cosa sono i Diari da uno spettacolo?
Pingback: DIARI DA UNO SPETTACOLO 2015 / ESODI | [LA FAIM ACCUMULATEUR]
Non voglio rubare troppe parole, anche perché , voi, già state esponendo molto! ^^
È davvero un bell’articolo , bellissimi disegni/grafiche!!!!!! ((correggetemi se sbaglio)).
E sicuramente un iniziativa di tutto rispetto! ^^