DJIBOUTI, In Africa dove vai tu

La trasformazione del mondo inizia dalla trasformazione della nostra mente ed il rinnovamento della nostra mente inizia con la trasformazione delle immagini che introduciamo dentro: le immagini che attacchiamo nei nostri muri e che portiamo dentro ai nostri cuori. 
Ward Kaiser, Teaching a New World Vision

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Dieci minuti di tempo.
Non chiedo di più per dare risposte utili a certe domande. In dieci minuti posso raccontare e spiegare molte cose. Purtroppo molte persone non hanno tutto quel tempo. Lo dico pensando ai miei recenti rimpatri in Italia da oltremare, quando mi è capitato a volte di essere interpellato più o meno così (domanda numero 1): «Ma adesso che làinafricadovevaitu c’è l’ebola come fai?». Oppure esiste anche la domanda variante 1/a (se va meglio con il beneficio del dubbio): «Ma làdovevaitu c’è l’ebola?».
Alcuni si accontenterebbero di un sì o di un no ma a volte rispondo: «No, però c’è tutto il resto. Puoi scegliere tra: meningite, tubercolosi, epatite, tifo, rabbia, schistosomiasi, giardiasi, echinococcosi, colera, leishmaniosi, brucellosi, malaria e un po’ di diarrea del viaggiatore».

Dopo la mia risposta, di solito, l’interlocutore occasionale o si tranquillizza (!) perché apprende che a Gibuti almeno l’ebola non c’è (forse non c’è) o invece (tra amici e parenti) si preoccupa ancora di più e mi augura, affettuosamente, di prendermi in forma cronica l’ultima malattia della mia lista.
Spesso il dubbio si insinua (proprio come uno schifoso verme schistosoma) generando la domanda 1/b: «Ah, ma allora fai tutte le vaccinazioni?» Al che io: «No, stai scherzando? Se mi iniettassi tutti quei vaccini allora sì che ci rimarrei secco prima di partire!».

La domanda frequente numero 2 è: « Ma làinafricadovevaitu, c’è l’ISIS?». Risposta: «No, là dove vado io ci sono solo Al Qaeda e gli Al Shabaab somali ma, stai tranquillo/a, fino a ora mai contemporaneamente». Aggiungo che, di solito, chi mi interroga così lo fa per sincera preoccupazione nei miei confronti o per saperne di più da una fonte diretta.

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Il fatto è che non capisco mai se, oltre a temerle, tali domande più mi imbarazzano, mi divertono o le tre cose insieme. Non è che rispondo così per sadismo, per troncare la conversazione o per offendere qualcuno, anzi. Siccome a mia volta mi chiedo perché alcuni mi fanno proprio quelle domande, diciamo che ho imparato a contrattare il dialogo a modo mio. Mercanteggio così quante parole spendere per l’incenso più prezioso che ho: il mio tempo. Dai mercanti al suk ho imparato che, se la merce è interessante, il tappeto mentale su cui sedersi a negoziare può essere solo il tempo che decido di usare (oltre ai soldi). Quindi, dopo le mie risposte un po’ provocatorie (lo ammetto), propongo: «Se ti interessa davvero e hai dieci minuti o più ti rispondo, altrimenti non inizio neanche».

Perché mi chiedono dell’ebola? Forse per paura del contagio tramite l’improbabile untore che io o gli immigrati sui barconi rappresentiamo? Finora, delle centinaia di migliaia di sventurati in fuga da guerre o regimi d’inferno, non uno ha portato quell’ebola arrivato invece direttamente in aereo, perfino nei blindati e sterilizzatissimi USA.

Perché mi si domanda dell’ISIS? Per sapere se si sta avvicinando, come se làdovevadoio sia più vicino dell’Iraq?
Domande che mi fanno sempre un po’ pensare: alla percezione, quella degli altri e la mia. Al potere delle parole, all’informazione, alla disinformazione, o anche alla mancanza totale di informazione. Alla statistica e a tanto altro. Domande così richiedono più di un o un no di risposta.
Già la frase «Là, in Africa dove vai tu» mi scompensa abbastanza: là indicherebbe un posto preciso (Gibuti dove vado io…), mentre in Africa è un dove esteso circa 30.250.000 km², zolla più zolla meno. Però questo poco importa: hanno detto che c’è l’ebola in alcuni stati africani? Allora, per statistica transitiva, la percezione è che c’è in TUTTA l’Africa, poche storie (e io quindi ci casco dentro!).

Anche se tutti questi Paesi distano tra loro e rispetto all’Italia migliaia di km, probabilmente, tra un po’, qualcuno inventerà che le masse di persone in fuga da Libia, Somalia, Eritrea o Siria, prima di sbarcare in Italia, hanno deviato in Sierra Leone per prendersi apposta l’ebola, naturalmente su ordine dell’ISIS. Invece, tutte le malattie che ho citato, più quelle non riportate, se non se ne parla è come se non ci fossero. Quindi a Gibuti non c’è l’ISIS (forse) però ci sono problemi sociali e sanitari notevoli legati a condizioni economiche e culturali complesse, non decifrabili in poche righe e di cui scriverò in futuro. In Europa dove torno io c’è l’ebola? Pare di no, però, nonostante il benessere diffuso, o forse grazie anche a questo, c’è una lunghissima lista di patologie inquietanti e letali che non inizio neanche a elencare.

Le vecchie carte geografiche appese ai muri, oggi quasi non più usate, avevano molti limiti: erano proiezioni distorte e sproporzionate dei paesi, quasi ogni nazione metteva al centro la propria mappa ma, studiandole criticamente, ci si poteva fare un’idea d’insieme, anche dei rapporti e delle distanze tra le nazioni stesse. Oggi mi pare che sia l’informazione a essere distorta, insieme a tanta paura indotta, e che insieme stiano provvedendo a cancellare quel po’ di geografia ancora utile: si deve solo seguire il Gps che ti dirà lui dove tu devi andare, senza cercare da soli il proprio sentiero.

Forse è per questa grande paura che qualcuno mi fa ancora domande, a cui io voglio rispondere meglio che posso (o non rispondere se non mi si da il tempo).
Ci sono ancora troppi muri fatti di paura, su cui sono attaccate vecchie carte di un mondo distorto, in cui ogni paese sta da solo senza conoscere quello vicino.


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