TOKYO, Dove i bambini girano da soli

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Girando per Tokyo a metà pomeriggio capita spesso di incontrarne, anche nelle zone centrali o nelle stazioni più frequentate: bambini sotto i 10 anni, da soli o a piccoli gruppetti, con la cartella sulle spalle.

Alcuni li noti perché portano pantaloncini o gonnellina corti anche d’inverno e in testa hanno un cappellino colorato o addirittura un berretto in stile militare, dipende dall’uniforme della scuola elementare che frequentano.
Tornano a casa da scuola da soli, senza nessun accompagnatore adulto. A volte, soprattutto se frequentano già qualche prestigioso istituto privato, prendono il treno o la metropolitana per rientrare nel loro quartiere.
Li vedi in attesa sul binario, seduti nel vagone tra due salarymen, in attesa al semaforo. A volte stanno parlando al cellulare oppure da un telefono pubblico e se sono in gruppo chiacchierano, ridono, si rincorrono.

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Tokyo -ricordiamolo-  è una metropoli con più di 15 milioni di abitanti, un dedalo di vie con una rete di trasporti perfettamente funzionante ma vasta e complessa. Eppure incontri questi bambini anche alla stazione di Shinjuku, la più grande, quella dove transitano quasi 4 milioni di passeggeri al giorno.
Li guardi e il tuo immaginario te li fa inizialmente sembrare indifesi e solitari. Quando invece, forse, sono semplicemente autonomi.
Quali saranno i pensieri di un bambino solo, mentre cammina o guarda fuori dal finestrino di un treno? Non siamo abituati a un’infanzia alle prese con la vita quotidiana, con qualcosa che sia al di fuori del gioco, della famiglia, dell’ambiente scolastico.

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Qui è una prassi comune: significa che gli adulti si fidano e sono consapevoli che i rischi sono bassi.
Fiducia nel bambino e fiducia negli altri.
(E aggiungerei pure fiducia nelle istituzioni e nelle regole, se finora non si è creato un comitato di genitori per protestare contro le gambe nude a dicembre…)
Penso ad altre metropoli nel mondo, con quartieri dove a volte girare da soli è pericoloso anche per gli adulti.
Penso all’Italia, alla sfilza di genitori in auto che se potessero parcheggerebbero dentro il cortile della scuola per risparmiare due passi al figlio, alle storie di certificati da firmare per dichiarare che il bambino è in grado di rientrare a casa da solo e sollevare la scuola da ogni responsabilità.

Un altro mo(n)do è possibile.
Migliore? Peggiore? Forse, semplicemente, un’alternativa.

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