PHNOM PENH, I miss you so much

Ratanak

Ci sono giorni che mi pare di poter esprimere solo così, con questa enfasi tutta asiatica, il sentimento di nostalgia per quegli amici rimasti a dare vita, colore e suono alle loro storie a 9000 e oltre chilometri di distanza: “I miss you SO MUCH, my friend!” [Mi manchi TANTO, amica mia! N.d.R.], “Sister, how are you? I miss you SO MUCH!”. [Sorella, come stai? Mi manchi TANTO! N.d.R.]

Una giornata cambogiana è piena di sole non solo grazie a quell’astro gigione che splende giallo, forte e fiero facendo schizzare le temperature a 40 gradi all’ombra. Il buon umore è nutrito a ogni incontro con una faccia nota. A Phnom Penh, ogni mattino che scendendo di casa uscivo per la strada, trovavo già gli sguardi gai della famiglia cambogiana che gestiva il bar di fronte: “Sok sabai!, Hello! Hello! Where you go?” [Ciao, dove vai? N.d.R.]. Poco inglese, ma diciamolo: a chi può interessare? Basta qualche giorno per intuire come la competenza linguistica sia qualcosa di tremendamente sopravvalutato. Alle ortiche tutte le menate sulle imprecisioni grammaticali! Per capirsi e trarre godimento dalla reciproca presenza basta un po’ di teatro. Eccoli là, lei matrona sulla seggiola accanto all’androne del bar, pela una cesta di mango e mi lancia un sorriso rotondo da sotto il cappellone. Lui si avvicina di soppiatto, mi guarda complice e le tocca la nuca con un serpente di plastica. Boato di risa generale, “Snake snake! You scared? My husband is crazy!” [Serpente serpente! Hai paura? Mio marito è matto! N.d.R.].

Camminando a gambero e gridando “He loves you so much!” [Lui ti ama tanto! N.d.R.], trotterello all’angolo per un fruitshake: la mia amica Ratanak vende frullati freschi presso un banchetto piazzato proprio di fronte all’ingresso della scuola-museo di Tuol Sleng. La vecchia scuola venne utilizzata come luogo di detenzione e tortura durante gli anni di follia del regime comunista dei Khmer Rossi. Delle frotte di turisti internazionali che la visitano, qualcheduno si concede di rinfrancarsi lo spirito con un frullato all’uscita. Credetemi, ci vuole. Ed è anche una scusa per smettere un po’ i panni del turista e chiacchierare del più e del meno con Ratanak, che si produce in un inglese frizzante e vivace.

Ci siamo conosciute così, complice un frullato. 21 anni, pantalone attillato e maglietta SAME SAME (il tormentone del Sud Est Asiatico, cioè la frase più semplice per ordinare da mangiare quando non sai neppure tu cosa stai ordinando), sotto la visiera nasconde occhi mobili, divertiti, che si beffano un po’ della fatica e la prendono in contropiede. Quando ride, ride forte e libera. Ha la pelle olivastra ma non se ne cura. Anzi, dice che si piace così, anche se le sue amiche fanno a gara a non prendere colore per soddisfare i canoni estetici locali secondo i quali pallido è bello. È nata così per caso questa amicizia, e sempre un po’ così senza regolarità abbiamo condiviso momenti che ora sono ricordi pieni. La bicicletta con cui ho sfidato il traffico, l’afa e l’alluvione l’abbiamo scelta insieme Ratanak ed io quel giorno che, lì al banco dei frullati, tiro fuori che me ne servirebbe una usata. “My father can fix bicycles, I can fix bicycles too. I am good! You can try” [Mio padre ripara biciclette, anche io. Sono brava, puoi provare. N.d.R.]. Così mi carica sul portapacchi della sua, molla il banchetto e pedala fino al mercato cinese delle biciclette. È brava davvero e mi procura un’ottima cavalcatura negoziando per me ogni dettaglio. Devo a questa giovane donna un po’ della mia libertà.

Molte volte mi ha invitata a correre fino al lungo fiume, il Mekong. Una corsa di 1 ora al mattino prima di iniziare il turno, con già quasi 40 gradi all’ombra. Se non corre, fa yoga nella stanzetta-tugurio dove è alloggiata dal suo datore di lavoro, in una casa di legno all’angolo dove lavora. Sul quel patio abbiamo spesso chiacchierato a lungo, con lei e il giovane imprenditore Lux che progetta di espandere il business dei frullati a più aree della città collocando altri banchi all’uscita delle scuole. Una sera siamo andate con una sua amica a passeggiare su Diamond Island, l’isola artificiale a sud della città che è un cantiere aperto dei nuovi quartieri residenziali per l’emergente classe media. Il luogo è spaesante: asfalto, macchie di aiuole bordano nuovi edifici rinascimentali, un piccolo zoo, blocchi di casette come lego, un campo da golf, cantieri a cielo aperto e tanta, tanta polvere. Ratanak mi mostra una fila di bar luccicanti lungo il canale che divide l’isola dalla città: “This is a good place, you can come here with your friends!” [Questo è un bel posto, puoi venirci con i tuoi amici! N.d.R.]. Sarà, ma non son convinta. Lei mi vede titubante e se la ridacchia.

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Ogni tanto mi chiama: “Hello sister! How are you? Did you have lunch?” [Ciao sorella! Come stai? Hai pranzato? N.d.R], e allora andiamo a mangiar fuori. Ordina sempre lei, perché sa che sono vegetariata e cerca dei piatti meno noti che anche io possa assaggiare. Una sera ha portato me e la mia amica Jess a cena dove lavorava prima di vendere frullati. Il locale è accogliente, e ci accomodiamo a uno dei tavoli nel portico che circonda una pozza d’acqua verde e ninfee. Ci si può illudere di una certa frescura. Smesso il look sportivo, Ratanak si è tramutata in una ninfa e scivola leggiadra come musica in un abito fiorito, gli occhi scuri ora più seducenti. È tutta contenta di sentirsi a casa propria, scherza coi camerieri e finiamo per abbuffarci di delizie. A volte mi sono chiesta come mi vede: vengo dall’Europa, sono qui a lavorare gratis, indosso sempre i soliti quattro stracci e non ho più vent’anni. Eppure, il bello di Ratanak è che mi mette a mio agio: di tutto ciò che dico o faccio, che lei dice e fa, sapremo fare buon uso. In quanto a lei, diversamente da molte ragazze della sua età non ha nessun boyfriend e nessuna ansia di sistemarsi presto: il progetto della mia amica è di aprire un ristorante suo. Alla mia festa di addio si presenta con un secchio di margarita preparato in casa, perché i cocktail a lei piace berli e farli. Io dico che il ristorante, tra qualche anno, lo aprirà davvero.

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