CANTERBURY – Io porto i capelli corti

«Alfredo. Amato, amato Alfredo… come sono finita su questa poltroncina, infagottata con un camicione e mantella nera, in uno stanzone lustro, colonne di marmo, luci da pretenziosa hall d’albergo? Che ci faccio io qui, a spiegare il taglio che vorrei a questa tizia tutta in tiro, fard e copioso mascara, che mi ricambia attenta e un po’ sorniona da dentro lo specchio?»
Stamattina ho mollato il colpo. Davanti alle forme informi in cui si dispongono i miei capelli buffi, dopo quattro mesi dall’ultimo taglio mi sono convinta nuovamente a un rischioso esperimento: provare un nuovo parrucchiere. Qui a Canterbury il mio fidatissimo Alfredo di Milano non c’è e, ogni volta che mi avventuro in un diverso negozio… niente, non mi innamoro, soffro, fuggo e riconfermo la mia teoria: a Canterbury e, chissà, forse in tutto il Regno Unito, i parrucchieri sono delle bestie. Non vedono, non mi vedono, sembra proprio che non sappiano mettere in armonia una faccia con un tipo di capelli.

Voi mi direte che queste sono futilità, che l’argomento non dice molto della cultura locale e che potrei fare lo sforzo di darvi altre storie più pregne di inglesità. Errore.
Credetemi, anche queste sono vere esperienze interculturali.

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Sono esperienze vissute in solitudine, crucci nascosti dalla riservatezza di non andare a tediare nuovi potenziali amici locali con questioni d’apparenza triviale e anche un po’ vanitosa.
Così, di parrucchieri ne ho già provati tre da quando abito qui. La prima volta ho fatto una ricerca su internet, la seconda ho domandato con studiata leggerezza a una signora inglese dal taglio fresco-di-forbice, mentre alla terza mi ha guidato la disperazione.
Forse un posto più figo, più altolocato? Che possa fare il miracolo?
Ecco che ci faccio qui, su questa poltroncina, mentre già comincio a perdere le speranze e indico a questa bellona, tutta lacca e mèches, l’idea di taglio che ho in mente. Sembra capirmi. Mi rilasso. Lavaggio: la poltrona reclinabile prende vita e trema tutta sotto di me, mentre Sacha, la mia artista del capello, mi massaggia sapientemente i pensieri. Dopo questo trattamento sono molto più bendisposta e mi accoccolo per il taglio come docile creatura.
Ripercorro per un attimo il quadro della situazione parrucco. Per quanto Canterbury sia una cittadina borghese e ben pasciuta (forse proprio per questo?), pare che i parrucchieri vengano tutti da una stessa scuola super tradizionale. Capello lungo e mèches, oppure slancio punk con colorinifacili tipo verde pisello e blu pavone. Sul taglio corto, ahimè, poca destrezza. Banalotto, diciamo. Infatti ho raccolto, sempre distrattamente, altre tre conferme di questo sotterraneo disagio da capello espatriato: una venezuelana, una slovena e un italiano. Pare una barzelletta, però qualche dato è verificabile: i prezzi sono stellari e graduati a seconda dell’esperienza dell’artista che ti prenderà sotto le sue forbici. Cifra massima sui 60-80£, se invece ti affidi al neo-praticante e approfitti dello sconto riservato ai nuovi clienti bastano 25-30£. Parliamo di una gamma tra i 30 ai 90 euro, per un taglio-e-asciugo donna. Uomini, di voi non so e rimarrò nell’ignoranza.
Ma torniamo a questo negozio di parrucchiere in dove ho deciso di arrischiarmi oggi. Nell’ingresso, un bel signore in giacca di velluto blu cozza sta sfogliando un giornale, accomodato accanto al fuoco che arde in un caminetto di severità vittoriana. Un metro più in là, tre splendide barbie prodotte in serie mi guardano a turno, sorridenti, da dietro un desk nero: occhi azzurri, occhi scuri, occhi castani. Le fotografo mentalmente una per una mentre do loro i miei dati personali. In un certo modo, sono identiche. L’intero ambiente ha lo stesso tono: studiatissimo, all black, tacco 12, finiture di pregio, strass e pose da alta moda, ed è qui che “o ti affidi all’arte della fiction, oppure cominciano a formicolarti i primi sospetti”.

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Mentre siedo sotto l’incantesimo della cara Sacha, ripenso ad altre avventure del parrucco in un altro Regno, molto, molto lontano. Quando arrivai in Cambogia nel marzo 2012, cercavo lavoro come volontaria dopo tre mesi di libero e avventuroso viaggio in Asia. Sarà la felicità di fare quello che vuoi, quando vuoi, o la curiosità sempre viva, o il clima, o il cibo, ma questi capelli corti erano cresciuti rapidi e selvatici e ora ero tutta un ricciolo capricciolo. Ricordo i giri in bicicletta alla ricerca di un parrucchiere che si prendesse cura del mio caso. Mi ci volle un’ora. Preciso che a Phnom Penh, capitale della Cambogia e luogo nettamente più vivace e intrigante della piccola e sonnacchiosa Canterbury, la passione per i capelli è la stessa! Si incontrano saloni di bellezza letteralmente a ogni angolo. Così scendevo dal sellino della mia mountain bike cinese di seconda mano, e chiedevo fiduciosa: «Hello bong! [Ciao amico/a in slang cambogiano N.d.R.] Can you cut my hear? Cut cut!». Le snelle e giovanissime parrucchiere cambogiane mi davano uno sguardo, si intendevano tra loro, e, tutte divertite, producevano cascatelle di risa allegre dicendo che no, non potevano perché avevo i capelli corti. A volte non dicevano nulla e si limitavano a farsi i fatti loro. 

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Allora ho provato dai barbieri, anche memore degli avventurosi tagli di capelli dei ragazzi di città, un po’ rasati, con ciuffi e creste tra memorie punk e nuove tendenze pop koreane. I giovanissimi parrucchieri cambogiani parevano quasi imbarazzati all’idea, io femmina a farmi fare un taglio da uomo. Da loro! Pedalare. Qualche anima buona deve avermi diretta sul lungofiume, in pieno centro, perché è lì che ho trovato il mio nuovo Alfredo di Cambogia. In verità, un tipo vietnamita simpaticissimo che sembrava starsene lì annoiato in attesa di me per poter dare libero sfogo alle sue più nascoste fantasie da coiffeur. Niente lavaggio, sforbiciata a secco. È evidente che è un negozio per uomini, ma a questo punto mi sembra un dono del cielo. E poi mi diverte. Ci diverte. Ed ecco l’idea di un taglio asimmetrico e via! che si butta nell’impresa. Il casco di ricci senza forma né ragione perde volume su di un lato. Zacchete zac zic zic zic. Il mio amico afferra tutto allegro un rasoio elettrico e mi tosa proprio mezzo cranio. Finisco mezza al sole, mezza all’ombra. Sono un po’ incongrua, ma sì, che devo dire, mi piace! Il tipo diventa il mio riferimento, anche perché ne esce bene da un complesso calcolo: è simpatico, è bravino e ha un prezzo che ritengo ammissibile per la mia coscienza di espatriata-viaggiatrice coi sensi di colpa di vivere privilegi che non avrei nel mio belpaese. Un taglio a Phom Penh (carissima rispetto alle campagne) costa 1$, il vietnamita me ne chiede 4$, parrucchieri occidentali (francesi, australiani) impiantati qui ne prendono 20$. È una vita troppo facile per chi ha i soldi, molto dura per tutti gli altri, anche se loro non lo danno certo a credere. Ma se posso fare un pensiero intercontinetale tra parrucchieri cambogiani-vietnamiti e inglesi, ecco, alla mia quota di esperimenti tendo a preferire i primi. Meno arie, più ciccia e molto più humour!

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Son lì che fantastico quando apro gli occhi e incontro il mio nuovo taglio di capelli inglese, in via di rifinitura. Poteva andare peggio. Corto sui lati, lungo al centro: è come lo avevo chiesto. Come sempre. Niente invenzioni, un modello su carta applicato con giudizio. Ringrazio, pago ed esco. Stamattina passeggio un po’, passo dal teatro a comprare i biglietti del Faustus per marzo. A Phnom Penh il teatro non c’era. Qui non ci sono gli uomini in crocicchio lungo la via, che giocano a dama o a carte, o si grattano beati il pancione tondo mentre aspettano un passeggero da portare in scooter a qualche affare in centro. A Phnom Penh mancano le mostre, i musei, i concerti se non in rare occasioni. Non c’erano trasporti pubblici, ma da qualche mese stanno introducendo alcune linee di minibus e c’è chi teme per i drivers. Eppure con quel caldo torrido credo che la comodità di un trasporto porta a porta, su due ruote, non perderà di appeal. Io a dire il vero adesso non penso né alla Cambogia, né ai teatri, né alle grandi domande su cosa c’è e non c’è di qui e di là. Penso ad Alfredo, quello di Milano, e penso a che marmellata inglese gli posso portare in ringraziamento del suo talento quando passo a casa per Pasqua e mi faccio dare una sistemata. In due mesi sono pronta. È un pensiero che mi emoziona, come un incontro tanto atteso con uno che ti capisce e che ti vuol bene.
«Tu sai che faccia ho, Alfre’, e mi darai soddisfazione… è che siamo tutti un po’ vanitosi, barbie e ken d’ogni dove, ma forse ci vediamo belli in modi diversi».
A conferma di cotanta filosofia, cito la mia amica inglese, quella che mi ha consigliato il mio secondo robotico taglio, che quando mi ha vista ha subito esclamato: ‘Beli capeli!’.

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Un pensiero riguardo “CANTERBURY – Io porto i capelli corti

  • 5 Marzo 2014 in 8:10
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    Già, ci vediamo belli in modi diversi, e non solo quello. Abbiamo mille idee diverse su come siamo o come dovremmo/potremmo essere. Non è facile spiegarsi, raccontarsi l’un l’altro quello che abbiamo in testa. Figurarsi arrivare a farsi capire.
    Anche qui in Toscana dove abito adesso Alfredo non c’è e mi manca, ma lui oltre a essere un parrucchiere ( e geniale) è un amico e gli amici… ti capiscono!!!

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