PHNOM PENH, Il “fatto a mano”
Capita che tra il popolo degli emigrati in terra straniera serpeggino disagi comuni di cui prima o poi si parla, per scoprire che: si, anche io ci sto sbattendo la testa e, guarda, forse avrei trovato un antidoto che se ti va lo proviamo insieme…
Galeotta fu la scoperta di un mercato di stoffe, o meglio del più grande mercato di stoffe della capitale di Cambogia. Ci capitai mentre mi trovavo impegnata in qualità di buyer a scovare scampoli di cotone per impreziosire alcune borse. Poche notti addietro, seduta in un affollato tuc-tuc in trasferta tra un bar e l’altro, attaccavo bottone con la mia dirimpettaia, una giovane imprenditrice austriaca in visita a Phnom Penh. Sissi mi aveva così raccontato della sua intenzione di fondare un marchio di moda europeo che sostenesse l’economia locale cambogiana attraverso una produzione locale equa. Attratta dal progetto e dall’amicizia con Sissi, mi ero offerta come sua collaboratrice sul territorio per procurare alcune materie prime e dialogare con la “produzione” a Phnom Penh.
E così eccomi investita dell’incarico di ravanare tra i mucchi di avanzi di stoffa accatastati al mercato di Orussay alla ricerca di materiale prezioso da portare a nuova vita: riciclato, locale, unico! Orussay si raccoglie attorno a un grosso edificio su 3 piani, al cui interno è disposta una gran varietà di merci: dalle stoviglie e casalinghi, agli alimentari freschi e conservati, passando per giocattoli, ferramenta, articoli di merceria, vestiario, fino a dei baretti sottotetto dove riempire lo stomaco con un piatto di noodle e un caffè al latte con ghiaccio. Il secondo piano è il paradiso delle sarte. Rotoli e rotoli di stoffe multicolore disegnano una griglia di banchi senza soluzione di continuità: si vede l’inizio e non si indovina la fine. Emergere al piano delle stoffe è come addentrarsi nel folto di una giungla morbida, afosa e fluorescente nella quale donnine smilze, allungando il collo, emettono suoni e risate e lanciano richiami: “Beautiful!” “You like?” “Cheap cheap for you!” [Bellissimo! Ti piace? A buon mercato per te! N.d.R.]. All’interno si compra per 2-3 dollari al metro. Fuori dall’edificio principale si compra anche a meglio, se ci si accontenta degli avanzi di produzione in vendita lungo il perimetro esterno a 1.5 dollari al metro. Sempre al piano stoffe, sui lati, stuoli di sarte cuciono gli abiti che le clienti ordinano.
E così un giorno torno a casa e racconto alle mie coinquiline, una spagnola e una tedesca, di questa nuova avventura, ed è un attimo… Disagio: il cosa-mi-metto. Antidoto: le stoffe e le sarte del Orussay market. La comune caccia è aperta!
Parentesi: non crediate, non siamo gran modaiole. Il mercato rionale è la nostra modesta casa. Il cosa-mi-metto si riferisce a un dettaglio fondamentale: nelle taglie cambogiane, ahinoi, non ci entriamo. Per le strade ci sentiamo un po’ stangone e ammirate per la nostra altezza, e ciò è parte di questa felicità di espatriate. Ma poi la distanza strutturale dalla piccola e agile corporatura cambogiana esige il suo prezzo: l’eterna ricerca di quella taglia in più! Così immaginate l’entusiasmo di risolvere brillantemente, evitando la robetta casual-cheap del Russian Market (elastica, monotona e small). Come? Facendo come le nostre nonne (oh come siamo vintage!), farci confezionare una cosa semplice e su misura. Galvanizzate, ci tuffiamo tra le stoffe e a mani piene ci presentiamo da una sarta a caso concordando i seguenti ordini di acquisto: un pantalone lungo e un pantaloncino per l’italiana, due pantaloni per la tedesca, un vestito per la spagnola.
Scorrono i giorni, a turni si passa a controllare i lavori. Due settimane dopo, ci siamo. Ritiriamo tutto e ci infiliamo nei nuovi, originali panni. Panico. Ci guardiamo disperate, una in pigiama, l’altra con un sacco gonna, la terza con il vestito della donna-cannolo. Dalla XS, siamo passate alla XXL. Nessuna ha cuore di tornare indietro a reclamare. Avvilite, cambiamo argomento. Finché di nuovo io, irresponsabilmente, mi trovo a provare una nuova sarta consigliatami da un’amica cambogiana. Tento il recupero del pantaloncino (che alla fine lascerò perdere) e invece copio un vestito di un’altra cliente che vedo lì appeso dietro alla nuova sarta. Sotto il suo sguardo divertito, lo provo e mi faccio puntare addosso dove modificarlo. “Long! Here, here! A bit more… OK OK.” [Più lungo qui, qui! Ancora un po’… Ok, ok. N.d.R.]. Sarà che è brava lei, sarà il modello, sarà che ci siamo capite a suon di spilli, ma stavolta la magia riesce! Per la prima volta nella vita mi infilo in una tunica liscia e lunga fino ai piedi, e sorrido fino alle orecchie dall’incredulità. In mezzo a tanta frustrazione sartoriale, un piccolo successo. Missione: compiuta!