PHNOM PENH, L’organismo-traffico
Se vi capitasse di trovarvi a Phnom Penh, capitale del Regno di Cambogia, vi trovereste a dover scegliere come spostarvi da un luogo all’altro. Premetto che l’opzione pedonale non esiste: fa un caldo della malora, umidità media 80% e i marciapiedi sono normalmente ingombri di stand e tavoli di annessi ristoranti.
Nell’ipotesi che siate appena arrivati in città e non disponiate di un vostro mezzo di locomozione, attenendoci ai più comuni, potreste scegliere tra: un motodop, un tuk tuk oppure un taxi. Legenda: il motodop è uno scooter più o meno comodo dove il conducente si offre di caricarvi (armi e bagagli) e portarvi a destinazione; il tuk tuk consiste nel modello più potente (e spesso più scalcagnato) di scooterone al quale è fissato un carretto coperto dove i passeggeri si accomodano, si stringono, si ammucchiano. Il taxi come noi lo conosciamo è bestia rara, e sì, anche un po’ spocchiosa… si potrebbe dissertare del significato sociale del muoversi con un mezzo o con un altro (come vi vedete e come siete visti), ma non oggi.
Oggi voglio che vi mettiate nell’idea di prendere coraggio e procurarvi un vostro mezzo di locomozione, e uscire così dal ristretto confine del motodop/tuk tuk/taxi. Oggi nessuno sta guidando per voi, niente foto alle pagode, nessuna fantasticheria. Vi sarete accorti che nel precedente elenco manca qualcosa che noi daremmo per scontato: se a Phnom Penh esiste l’orario di punta (7-8 del mattino, 5-6 del pomeriggio), per converso non esistono i trasporti pubblici. Avete capito bene. Tutti in strada su un mezzo proprio. Guidare è il primo battesimo per entrare nella comunità locale di 2 milioni di abitanti. Cosa si guida? Principalmente scooter e biciclette, dove la bici è il mezzo utilizzato dai bambini o da qualche studente ambientalista alternativo (e squinternato). Lungo tutta la gamma di scooter, motorini e moto, si distribuisce la popolazione adolescente e adulta (alle volte anche anziana), sia maschile sia femminile, scandita secondo un criterio di reddito e di stile di vita (la moto vero oggetto di culto tra i giovani ribelli e/o in carriera).
Immaginate quindi di trovarvi in sella alla vostra bicicletta, appena acquistata di seconda mano presso uno dei negozi dei cinesi, nei pressi del mercato delle stoffe di Orussey. Provate qualche pedalata, la bici sembra solida e snella, un senso di euforia vi assale. Siete finalmente indipendenti! Potete andarvene a zonzo dove vi pare! Niente più estenuanti spiegazioni con i conducenti, basta con le trattative sul prezzo. Ora siete liberi di esplorare, sostare, seguire l’ispirazione… sì. Tutto bello, ma al primo incrocio vi rendete conto che avete da imparare come muovervi nel traffico. Il battesimo è ora.
Secondo quanto ho potuto sperimentare, in sella alla mia splendida mountain bike made in China (eh eh), il traffico qui si muove come un organismo vivente. È VIVO perché la sovrastruttura del Codice della Strada è un orpello di poca utilità. Imparare a guidare a Phnom Penh, inizia nel rendersi conto di questa penuria. Rarissimi semafori, scarsissima presenza di segnaletica, regole chissà quanto conosciute e di certo poco praticate (lo so che vi ricorda “quella volta a Napoli”…). Per diventare sciolti nel traffico, c’è da staccarsi dal Codice e imparare a osservare gli altri. La gestione del traffico è, mi vien da dire, una pratica collettiva: ognuno è coinvolto nel gioco e responsabile delle proprie mosse. Come in una conversazione, è questione di contatto visivo, di gestione dei turni di parola, di negoziazione situata. Imparare a guidare nel traffico equivale a imparare come stare connessi nel tessuto sociale attraverso una pratica.
La vedete adesso la strada viva? Finché parliamo di motorini e biciclette, capite bene che un tale flusso di traffico è possibile e financo divertente. Dopo un po’ vi sentite come pesci nel mare, sgusciate a vostro piacimento sentendovi parte di qualcosa di ampio e variegato… tutto sommato, figo!
E poi arrivano le automobili. La automobile. Una sola taglia. L’elefante d’alabastro. Il SUV.
Nella fauna ittico-motoria cambogiana, il pesce più grosso ha la precedenza (di nuovo Napoli, va bene, ma anche Milano, posso testimoniare…). È il re della strada. Pure lui s’arroga il diritto di trasgredire le regole, o, a rigor di logica, di muoversi con le non-regole dell’organismo-traffico. Se lo fanno gli altri, lui a maggior ragione! Ve lo ritroverete a svoltare contromano, ignaro dell’uso di indicatori di direzione, parcheggiato sull’angolo di un incrocio, vi verrà incontro sorridente sulla vostra stessa corsia, ma dal senso opposto di marcia. Lo so, è difficile da immaginare, ma provateci. Voi siete lì, grondanti sudore dalla fronte, dalle sopracciglia, dalla nuca, mentre strizzate gli occhi per evitare la polvere e il solleone, state pedalando fieri nel Grande Flusso del Traffico, quando “lui” vi si staglia di fronte, due metri di larghezza, lucido di spugna. È una sfida persa in partenza, subite l’affronto e vi fate da parte infilandovi al centro della corsia per lasciargli la destra, contromano.
È il trattamento di favore ai re, ai signori del mare. Quando parcheggia vicino al ristorante, ci sono schiere di “omini” (bravissimi) che si sbracciano a segnalare la manovra meno azzardata per entrare e uscire dallo spazio di sosta. La sera, al rientro dal lavoro, i bambini spingeranno il cancello e apriranno le porte finestre per accomodare il “suvvino” in salotto a pianterreno. In salotto già, a far mostra di se’… come un elefante di alabastro!
Se un giorno andrò da quelle parti mi ricorderò della tua piacevole descrizione.Mi aspetto altri consigli su altri approcci alla vita quotidiana in oriente.