Lampedusa Mirrors: a BEIRUT in Tandem

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Chi l’avrebbe mai detto che a fare teatro si finiva a Beirut, in Libano.
In Libano, accanto alla Siria e a Israele, sempre accanto al Mare Nostrum.
In Libano, che ha la stessa vegetazione nostra, gli stessi pini marittimi, la stessa luce del nostro sud, la stessa luce di Lampedusa.
In Libano ci finisco io, cioè Micaela (senza Giulia questa volta), grazie al programma Tandem/Shaml, all’interno del quale sta il progetto Lampedusa Mirrors: questo programma si propone di far incontrare organizzazioni culturali e artistiche europee e del mondo arabo, perché realizzino insieme dei progetti, che ricadano il più possibile sulle comunità di riferimento.

Bello, no? Penso a San Lazzaro e a Bologna, alla famiglia/teatro del Teatro dell’Argine, alla nostra piccola grande comunità di allievi e spettatori di tutte le età e di tutte le origini e competenze. E riparto. Dopo Tunisi e Berlino, è la volta di Beirut. Per la verità noi dormiamo e lavoriamo a Broummana, sulle montagne attorno alla capitale, dalle quali si gode una vista strepitosa e una bella arietta fresca che, appena cala il sole, diventa decisamente fredda.

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Di Beirut abbiamo visto poco, e niente di quanto abbiamo visto corrisponde all’idea che se ne ha in generale in Italia, dove alla parola Libano corrispondono immagini di guerra e case sventrate.
Prima di tutto Beirut profuma di buono: in qualunque punto della città si sente un odore come di fiori, di pini, di mare.
Poi Beirut in certi punti sembra Londra: gli stessi Starbucks, le stesse boutique, un sacco di gente, moltissimi giovani in giro per locali la sera.
In altri punti invece, mi dicono gli amici che la conoscono, l’architettura cambia completamente: ci sono oltre 15 confessioni religiose diverse che convivono qui e ognuna ha i suoi luoghi di culto, il suo stile architettonico e urbanistico.
Infine, se vai fuori città, trovi, tra le altre cose, la bellissima Byblos, con resti fenici e romani, là dove, nella culla del Mediterraneo, è nato il primo alfabeto.

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Wikipedia mi informa che le attività principali del Libano sono i servizi bancari e finanziari e il turismo, e in effetti ci sono tantissimi istituti di credito in grattacieli stile The City e uno skyline che, se non fai caso allo stile dei quartieri intorno, quasi quasi sembra Manhattan.
Insomma, a prima vista Beirut è tranquilla. Sì sì, avete capito bene, tranquilla. Come da noi.

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Ma sarà poi vera questa mia immagine? Questa impressione che si è creata frettolosamente nella mia testa di occidentale portata a spasso un paio di volte da premurosi amici arabi?
Ora che ci penso, c’è molta polizia, moltissima. E check point lungo alcune strade: il taxi che mi ha portato all’aeroporto ne ha attraversato uno.
Poi non dimentichiamo che non ti fanno entrare nel paese se sul passaporto hai un timbro di Israele (e viceversa) e che siamo al confine con la Siria: nelle settimane scorse, dicono, da qui si vedevano colonne di fumo levarsi da questo povero paese confinante.
Infine, all’arrivo ci hanno fatto firmare un foglio in cui ci dicono che certi quartieri della città non sono sicuri, così come certe zone del Libano e che, se decidessimo di avventurarci là, la nostra assicurazione non coprirebbe eventuali incidenti: rischio di attacchi, di scontri, di rapimenti.

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Se si esclude questo piccolo dettaglio, l’arrivo è sempre la parte migliore dei meeting Tandem: saluti calorosissimi negli stili dei diversi paesi presenti. C’è Dorte, bellissima e misteriosa berlinese di Moviemiento, in partnership con Abdullah, siriano profugo a Beirut dell’associazione Ettijahat, che fanno un workshop di cinema in un campo per rifugiati siriani; ci sono Emiliana, sarda di Perdaxius dell’associazione Cherimus e Hatem del garage/teatro Mass’Art di Tunisi, anch’essi al lavoro sul tema della migrazione; c’è Amado, sudanese trasferitosi in Egitto, fondatore di Nabta Centre for Art and Culture e Tasja, tedesca di Videonale che si interrogano sui blocchi stradali militari che cambiano l’urbanistica del Cairo; ci sono Astrid, tedesca residente al Cairo dell’associazione Mahatat for Contemporary Art, e Gwenn di MCE Productions (Marsiglia), che mappano i quartieri delle rispettive città per capire quali siano i desideri e le necessità culturali dei cittadini; c’è Sophia di GeoAIR da Tbilisi in Georgia, alla quale la massiccia presenza di polizia ed esercito ricorda il processo di indipendenza del suo paese e la crisi di un’intera generazione, la sua, uccisa negli scontri o persa a causa della droga e della depressione; c’è Hamdy, artista visuale egiziano di Artellewa che con Sophia lavora sul topos del mercato; c’è Martha di plays2place (Atene), che lavora con Abdullah di Janaklees for Visual Arts (Alessandria d’Egitto) sulla nuova e sull’antica Alessandria; e noi con Eclosion d’Artistes (Tunisia). Ci sono poi gli amici organizzatori di MitOst (Germania), Darius e Hatem, e di Al Mawred (Egitto), Dalia e Silvana, impeccabili e accoglienti.

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In questo interim meeting si fa il punto sui vari progetti in corso: dove si è, verso dove si va. Ci insegnano un sacco di cose su come trasformare in realtà progetti culturali, acquisendo competenze e imparando come superare le più svariate difficoltà; difficoltà che, in paesi come quelli coinvolti (ma anche in Italia, mutatis mutandis…), possono essere insormontabili.
E si impara a chiamare i problemi challenges, ovvero sfide: perché le parole sono importanti.

Il prossimo e ultimo meeting della banda internazionale, transdisciplinare e transculturale del Tandem/Shaml sarà a San Lazzaro e Bologna: la candidatura del Teatro dell’Argine per ospitare l’evento finale è stata selezionata e dunque gli esiti dei progetti saranno presentati in Italia tra il 19 e il 22 marzo 2015. Anche il prossimo diario sarà da San Lazzaro, ma avrà un sapore misto emiliano-romagnolo e arabo-nordafricano, dato che racconterà l’incontro tra i nostri amici artisti tunisini e i nostri adolescenti.

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