Lampedusa Mirrors: Lampedusa è uno specchio e una porta
Prima di tutto Lampedusa è un posto di cui ti innamori. Arrivi e ti innamori. Arrivi, pensi di vedere una certa cosa e invece ti innamori. La natura, la gente, la luce.
A Lampedusa il latte fresco arriva solo una volta la settimana. Il venerdì. E il sabato è già finito.
A Lampedusa c’è una luce meravigliosa, che non si può spiegare, come quella di Lisbona.
A Lampedusa non c’è un vero ospedale, ma solo un poliambulatorio, sicché a Lampedusa non nasce più nessuno. A parte i bambini che hanno proprio fretta. Per esempio quelli che vengono dal mare nella pancia già troppo grande delle loro madri.
A Lampedusa i bambini talvolta (spesso) fanno solo tre ore di scuola, perché nessuno, pochissimi insegnanti vogliono trasferirsi qui.
A Lampedusa non fanno tappa solo gli uomini migratori, ma anche gli animali migratori: aironi e tartarughe, per esempio. Si vede che è un posto accogliente.
A Lampedusa è pieno di bambini che giocano in strada liberi, ché non ci sono pericoli di macchine e traffico come nelle grandi città. Ma molti bambini qui hanno anche visto cose che non avrebbero dovuto vedere: i naufraghi tirati su dal mare, a volte salvati dai loro papà pescatori, a volte finiti nei sacchi neri.
A Lampedusa è pieno anche di cani randagi in strada, che fanno tenerezza: c’è chi dice che sono i turisti che li abbandonano. Sta di fatto che di notte, senza tanta illuminazione, fanno un po’ paura.
A Lampedusa chiamano «terraferma» quella su cui abitiamo noi. Anche se, dice qualcuno: «Perché, e questa? Non è forse ferma questa terra?»
Su Lampedusa nel 1986 Gheddafi ha lanciato dei missili dando il via al turismo da guerra.
A Lampedusa vai sul luogo di uno dei più terribili naufragi di sempre, quello del 3 ottobre 2013 nel quale morirono 368 persone, e trovi una baia meravigliosa, che Traveller’s Choice ha eletto a “spiaggia più bella del mondo” proprio nel 2013: l’Isola dei Conigli.
A Lampedusa arrivi e pensi di vedere una certa cosa e invece no.
Quando abbiamo detto ai nostri genitori che per portare avanti il progetto Lampedusa Mirrors insieme ai compagni del Teatro dell’Argine, saremmo dovute partire prima per Lampedusa, poi per Tunisi, quindi per Beirut, loro, ecco, più di tutto erano preoccupati per Lampedusa: l’isola che si vede al telegiornale, che sembra un lager a cielo aperto, con gente che si cuce la bocca e scavalca le recinzioni, che chissà cos’hanno fatto per finire là dentro, e comunque chi glielo fa fare. E poi le malattie, mamma mia, parlano di tubercolosi, epatite e adesso persino di ebola. Andate laggiù?
A Lampedusa in questo momento il centro di accoglienza è chiuso da mesi, e quando arrivi sulla via dello struscio, Via Roma, vedi i turisti con le infradito. È un posto complesso, come tanti altri, che ha incredibili bellezze e anche molti problemi. Non c’è nulla di quell’immagine televisiva. Grazie a “Mare Nostrum” (programma di salvataggi in mare che a breve sarà chiuso), ci dice la sindaca Giusi Nicolini, solo 3.000 persone sono transitate per di qua nell’ultimo anno a fronte dei 30.000 in media che vi transitavano prima.
A Lampedusa dall’1 al 5 ottobre c’erano dei nostri spettacoli al Festival Sabir di Ascanio Celestini; abbiamo recitato con i bambini dell’isola e gli attori, autori e musicisti del progetto Le nuove vie dei canti di Guido Barbieri; abbiamo partecipato al flash mob di Amnesty per le commemorazioni del 3 ottobre, quando la piazza di un’isola grande 20 km quadrati in tutto era piena di vigili del fuoco, guardia di finanza, polizia, carabinieri ed esercito e c’era una tensione che si tagliava col coltello, che forse davvero quasi sembrava di stare a Beirut, per un attimo.
Abbiamo raccolto foto, parole, pensieri, libri che ci porteremo dal 20 ottobre al 2 novembre a Tunisi, dove faremo un laboratorio con dei giovani attori professionisti e con adolescenti e giovani dei quartieri periferici. Quelli che sognano Lampedusa.
Perché Lampedusa sta più vicina a loro che a noi e la sognano, eccome.
Proveremo insieme, attraverso il teatro, a capire e raccontare le ragioni di chi sta al di là e al di qua di quello specchio in mezzo al Mediterraneo: Lampedusa Porta d’Europa, come nel monumento di Mimmo Paladino ai migranti deceduti e dispersi in mare.