ARMENIA, Due ragazze – Parte 1

Chiesa di Hairavank sul lago Sevan, Armenia

Lia e Sara hanno 22 anni e sono nate in Israele, sulle sponde del Mar di Galilea, le acque sulle quali camminò Gesù.

È una limpida mattina di fine ottobre e insieme guardiamo il monte Ararat, laggiù appena oltre il confine con la Turchia, simbolo imperituro dell’Armenia, soggetto di dipinti, oggetto di rimpianto e segno concreto dei territori portati via dalla storia. Siamo a Khor Virap, alle porte del monastero protagonista di una delle storie più importanti dell’Armenia, il luogo in cui venne tenuto prigioniero S.Gregorio l’Illuminatore, colui che portò il Cristianesimo nel paese.

Guardo le due cime e la dolce curva bianca di neve che le unisce e godo del silenzio immaginando l’arca di Noè appoggiata proprio lì, su quella linea curva che sembra una culla pronta ad accogliere.

Per Lia e Sara questa è la prima vacanza dopo il servizio militare.

Due anni. Due ragazze di vent’anni per due anni in una caserma.

“Vi va di raccontarmi qualcosa? Cosa facevate?”

Sara: “Bè, si possono fare delle cose molto diverse. La struttura del nostro esercito è così complessa che nemmeno noi sappiamo esattamente quanti settori ci siano. Quando abbiamo finito la scuola superiore abbiamo dovuto sostenere una lunga serie di esami e colloqui che sondavano le nostre conoscenze, esperienze e attitudini. In base ai risultati siamo state assegnate a diversi settori. Io, ad esempio, visto che ho studiato l’Arabo, sono state assegnata al settore delle comunicazioni. Codici, trasmissione di comandi, spionaggio, cose così.”

“ E tu?” Chiedo a Lia.

“Io, visto che avevo esperienza come educatrice ed insegnante sono stata assegnata al settore formativo. Insegnavo ai giovani soldati a sparare. Mi sono specializzata su due armi: hai presente quel mitra che si vede in…? –e mi dice il nome di un film che ho rimosso per lo shock- Ecco, proprio quello (mi farà poi vedere delle foto su facebook che ancora mi sembrano incredibili). Il primo anno ho imparato a usarle e ho fatto una specie di tirocinio, il secondo anno ho iniziato a insegnare: ogni settimana avevo un nuovo gruppo di Combattenti di 18 anni che venivano a imparare le mie due armi.”

“Ah.” E vedo tutta la fierezza con cui me ne parla e ammutolisco mentre nel cervello è in corso una tempesta!

“Lo so che sembra strano ma non è che facciamo queste cose perché siamo degli assassini. Lo facciamo per proteggerci, infatti il nostro si chiama Esercito di Difesa dello stato di Israele. Non ci si prepara solo alla guerra, ci sono tante altre cose, tipo il servizio civile, l’aiuto agli anziani…”

“Sì, ma comunque tu hai imparato e insegni a tua volta a SPARARE!”

“Sai, il nostro è un paese piccolo, esistiamo solo da 64 anni e siamo circondati da paesi che ci odiano e che cercano di portarci via la terra: la zona dove abitiamo noi, ad esempio, potrebbe esserci portata via. Basta poco per farci sparire del tutto e noi abbiamo capito che abbiamo bisogno di avere una nostra nazione… perciò dobbiamo essere pronti a difenderla.”

“Il mondo però teme che sarà Israele ad attaccare l’Iran… dove sta il confine tra la difesa e l’attacco? Perché? Perché questo odio?”

Sara: “Perché l’Iran sta costruendo una bomba nucleare e noi dobbiamo pensare al nostro futuro. Non c’è un motivo… è un fatto.” It’s a fact.

È un fatto che sono due ragazzine di 20 anni prese e infilate in una tuta mimetica, convinte di fare la cosa giusta, convinte di fare il bene del loro paese perché hanno il diritto di difenderlo ad ogni costo.

Mentre mi parlano, le vedo intrappolate in una ruota che gira e girano loro e girano i loro cervelli, incapaci di riflettere e cercare nuove domande e nuove risposte.

“Ma perché la guerra? È una cosa terribile… se vi chiameranno andrete anche voi?”

“Sì, certo. Se verremo chiamate andremo.” Sara ora è dura, fredda, il suo cinismo è un pugno in pancia. “Le guerre ci sono da sempre, no? …Forse la pace è una cosa troppo grande per l’uomo.”

Forse la pace è una cosa troppo grande per l’uomo. Forse. La pace.

“È terribile.” È la sola cosa che riesco a dire. Guardo Lia… peserà sì e no 45 chili, poco più di quell’arma.

Ora ripenso alle foto di questi ragazzi in divisa che sorridono perché, certo, sono dei giovani che vivono insieme per due anni, che si sentono i difensori e i portatori dei valori di una nazione… e io lo capisco questo orgoglio… mi sforzo e lo capisco. Hanno 22 anni.

Lia: “Pensa che ieri sera nell’ostello di Tbilisi avevamo come vicino di letto un ragazzo giordano, nato in Iraq! Non ci siamo picchiati, abbiamo parlato, riso e scherzato… il bello di quando viaggi è che succedono anche di queste cose…”

Abbiamo trascorso insieme due giorni: abbiamo visitato splendide chiese, cucinato, riso e scherzato. Quando ci siamo salutate mi hanno regalato una cartolina di Israele con una bella frase e un sincero invito ad andarle a trovare nel loro kibbutz. Ora quella cartolina è in una tasca del mio zaino, con me, in Iran.

Parte 2…

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