PERÙ, Le foglie
Scrivo da Huaraz, la città a nord di Lima, da cui vado e vengo ormai da una settimana con Andrea, una compagna di viaggio straordinaria conosciuta sull’autobus che da Lima ci ha portate nell’Ancash, ovvero nel cuore delle Ande, alle pendici della Cordillera Blanca, la più alta catena montuosa al mondo dopo l’Himalaya. Ci siamo conosciute di fronte ad una sopa durante una sosta dell’autobus e da allora i nostri cammini si sono uniti, con mia grande gioia e fortuna, perché Andrea non è una turista qualsiasi: è una donna austriaca che vive e fa la guida turistica in Perù da quattro anni.
Così la mia prima sera a Huaraz l’ho trascorsa con lei e i suoi amici tedeschi, olandesi, peruviani a festeggiare il suo compleanno con una cena strepitosa, cantando buon compleanno in quattro lingue e ridendo, tutti nella stessa lingua.
E nelle ore seguenti mi sono ritrovata a organizzare un trekking di tre giorni in Cordillera Blanca, a montare la mia tenda Bertoni a 4000 metri, a cercare l’ossigeno nell’aria a 5000 metri, a cercare el cammino di discesa sotto una pioggia di ghiaccio, a mangiar passato di asparagi Maggi e una pasta scotta nell’acqua che non bolle mai. E poi spogliarsi sotto la pioggia per non entrare in tenda con gli abiti bagnati e subito mettersi addosso tutto il poco che resta e seppellirsi nel sacco a pelo e aspettare la notte raccontandosi amori e pezzi di vita. Siamo Andrea, Hanika, Wilder, Bruno, due portatori e io. Tre tende, una cartina e qualche manciata di frutta secca. La mattina aspettiamo il sole che ci scaldi e asciughi le tende gelate, poi camminiamo. Camminiamo.
Tornati dal trekking abbiamo il tempo di abbuffarci in un ristorante chifa, ovvero un ibrido tra il peruviano e il cinese, lavarci e rifare lo zaino per partire verso casa di Pablo, che ci aspetta.
Pablo lavora nell’agenzia di Guido, la stessa in cui lavorò anni fa Andrea, e vive con la moglie Lucy e i quattro figli a Vicos, un pueblo distante una quarantina di km da Huaraz. Bruno, che ho menzionato prima, è il suo figlio maggiore, ha quindici anni, pesa 42 chili e in montagna cammina come un demonio.
Viaggiamo sui combis, ovvero dei minivan che partono quando sono pieni e scaricano e caricano passeggeri, qua e là sul ciglio della strada, ad un cenno della mano o anche solo di un dito. Le strade polverose, poche asfaltate.
La casa di Pablo si può raggiungere solo a piedi, prendendo la strada di terra sulla sinistra, quella in salita, appena prima del primo di ponte di Vicos. Incontriamo un uomo che spinge quattro pecore e due maialini che trascinano un sottile guinzaglio e la polvere che si alza fa sembrare il caldo ancora più caldo.
La casa di Pablo è fatta da quattro muri di sassi: c’è una cucina con una stufa, un forno enorme e un tavolo con cinque sedie. Due sono sfondate. Tutto è pietra e legno. Il pavimento è terra grigia, tanto calpestata da sembrare cemento, ma è morbida e tiepida e sedersi a tavola diventa un gioco di equilibrio per trovare quattro punti di appoggio stabili tra gobbe e buche. La stanza accanto è la stanza da letto, dove dorme tutta la famiglia, tra mucchi di coperte e qualche vestito.
La vita quotidiana è fuori, all’aperto, nei campi di patate, con le mucche serafiche e le galline che pascolano sugli alberi, al lavatoio. Per i bambini, al campo di calcio o nel prato a insegnare a camminare alla sorellina più piccola, mentre la mamma taglia le carote per la sopa.
Bruno è splendido quando imbocca la piccola Andrea (1 anno). Maitel (11 anni) quando la fa addormentare. Sono belli e puliti anche con i vestiti lisi e i piedi sporchi di terra.
Una mattina mi sveglio presto e tento di raggiungere la laguna Lejacocha, accompagnata da Sapra, uno dei cani di casa; a cento metri dal lago dobbiamo rinunciare perché travolti da una tempesta di neve… ma quella piantagione di eucalipti! Solo a respirare, sei in pace con la terra… e quel bosco di Qinoa, così rossi, spelati e contorti che ringrazi la fantasia della natura! Il villaggio operoso, la quiete dei pastori sdraiati sul prato a guardare chissà che pensieri, la pace della solitudine e il respiro veloce in quota. È sempre bello, anche se cammini quattro ore per vedere un lago e poi non lo vedi.
Ora guardiamo insieme alcuni video che riprendono Pablo nel suo primo viaggio in Europa con Guido, il suo “fratello” olandese. L’espressione di Pablo quando vede e assaggia il primo caffè espresso è esilarante, la sua gioia quando sale su una bicicletta in Olanda e quando calpesta la prima neve sul Monte Baldo è commovente. Sì, un campesino quechua che vive sulle Ande e calpesta per la prima volta la neve sul Garda… Anche questo può succedere ed è come osservare un bambino che muove i primi passi, con in più la consapevolezza di un uomo di trentanove anni.
Poi vediamo le immagini di una faggeta in autunno: c’è un tappeto di foglie rosse e gialle e Pablo spiega a Lucy che quando inizia il freddo le foglie cadono… Lucy è incantata, le brillano gli occhi dalla sorpresa e con la sua solita lentezza chiede: “Ma queste foglie, cadono tutte in un solo giorno?”
…
“No Lucy, poco a poco…”