ESODI 4, In fuga (prospettica)

Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio interculturale Esodi del Teatro dell’Argine.
Contributi di Elena Guidolin e Teresa Vila.


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Disegni: Elena Guidolin


Hermano, si te has perdido / cruzando por la frontera / cruzando por la frontera / hermano, si te has perdido / cruzando por la frontera.
Fratello, se ti sei perso / attraversando la frontiera/ attraversando la frontiera / fratello se ti sei perso / attraversando la frontiera.
“La caña”, Son del Centro, dal film La Jaula de Oro

Una scatola.
Il ragazzo la posa in mezzo al pavimento, circondato da tutte e cinquanta le persone presenti nella stanza, me compresa.
Una scatola dalle fragili pareti di carta bianca.
«Questa è la struttura del nostro spettacolo», ci dice. Le cinquanta persone di Esodi, il laboratorio teatrale interculturale di ITC Teatro, si sporgono per guardare meglio.
«Io non vedo niente… »
«Ma guarda, si capisce benissimo che è il nostro hotel visto dall’alto», mi dice una sedicenne con gli occhi da cerbiatta seduta al mio fianco.

Mani attente aprono delicatamente il coperchio della scatola: dentro c’è un’altra scatola, un po’ più piccola.
«Questo è l’ingresso», ci dice lui, «Qui saranno presenti i membri del personale più qualificato… Guardate bene dentro la scatola: li riuscite a vedere? Sono sempre in servizio, sempre sorridenti…». Guardo con attenzione e, Dio mio…! Li vedo, come formichine; vanno su e giù, sorridono e fanno inchini, così vacui, dalla mia prospettiva…

Il ragazzo apre la scatola nella scatola. «Questa è la sala da pranzo», ci dice. La ragazzina al mio fianco, divertita, mi bisbiglia all’orecchio «Quelli sono i peggiori!» e mi indica un gruppetto di minuscole personcine in un angolo: «Quelli fanno finta di lavorare, ma appena ti giri si mettono a giocare a carte!». Guardo bene, e mi rivedo in mezzo agli altri, in una piccola figurina che pulisce, dimentica del mondo, perduta come chi attraversa la frontiera. «Ognuno di noi ci vede qualcosa di diverso…», mi dice, ormai speculativa, la bambinella: «È così che funziona uno spettacolo, il teatro intero: guardi da fuori mentre vivi da dentro, continuamente…».

Aprono ancora una scatola, sempre più piccola. «Questi sono i corridoi. Vedete gli uomini che ci ciondolano dentro? Non fanno parte del personale, e non sono neanche turisti. Sono degli estranei, voglio infilarsi nell’hotel di straforo. Cercano crepe per infiltrarsi, attecchire, e non andarsene più».
«Occhio», mi dice la ragazzina indicandomeli, «Quelli sono vecchia ferraglia, sono come lamiera arrugginita, valgono quanto i topi che infestano l’esterno. Sono di fuori, proprio come i topi, ed è con loro che devono stare».
«Ancora i topi? Ma che c’entrano?», chiedo. Lei mi guarda un po’ sorpresa: «Come che c’entrano? E tu perché stai dentro all’hotel, sennò, scusa?».

Richiudiamo le scatole ad una ad una, mentre il ragazzo ci dice: «Durante il lavoro sentirete un suono, e tutti andrete a guardare da dove viene. Secondo voi dove vi porta? Se, per una buona volta, aveste il coraggio di uscire, che ci trovereste, fuori?». Fuori dove, mi domando, le scatole sono ormai chiuse e non si vede più niente…

Poi guardo meglio le pareti della stanza del teatro: sono stranamente bianche. Mi avvicino… carta. È carta. Sono dentro una scatola di carta. Se è così, anche questa scatola, come tutte, si deve poter aprire. «E allora il suono ti spinge fuori e cosa vedi…? ». Ci continuano a chiedere. Non dire la luna, mi dico, non dire la luna.
Eppure, mentre si solleva sopra le nostre teste il soffitto di carta velina che ci teneva ancorati al suolo e alla forza di gravità, è proprio lei che per prima s’impone al nostro sguardo: la luna…

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Parole: Teresa Vila


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Cosa sono i Diari da uno spettacolo?

 

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