ESODI 2, Il tuo doppio e la sua forma
Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio interculturale Esodi del Teatro dell’Argine.
Contributi di Elena Guidolin e Teresa Vila.
Disegni: Elena Guidolin
Giacomorto occupò il suo posto e diede a malincuore un ceffone al chierichetto che pareva aspettarsi una mancia e se ne scappò senza aspettare il resto. Il resto sarebbe consistito senz’altro in qualche sberlone assortito; era naturale che Giacomorto non si ergesse pubblicamente a oppositore dei costumi del paese, malgrado il disgusto che continuava a provare per quelle pratiche.
Boris Vian, Lo strappacuore
Al laboratorio teatrale Esodi, al quale partecipano ragazzi da tutto il mondo, dobbiamo provare una nuova improvvisazione. Ormai siamo pronti per andare in scena: mentre entro, nelle vesti di una turista ignara del suo oscuro e imperscrutabile destino, penso che sia un po’ come quando devi fare la valigia prima di un viaggio; quando cominci a chiederti, anche senza volere, come sarà mai, che troverai dall’altra parte. Quanti pregiudizi, abitudini e costumi, quanta noia dovrai scoprire e superare.
I ragazzi che mi stanno davanti, e che durante l’esercitazione teatrale dovranno accogliermi come se fossero parte dello staff di un albergo, conoscono sicuramente la sensazione di fare la valigia. Magari una valigia un tantino più pesante, non da weekend in campagna o da gitarella turistica.
Faccio il mio ingresso all’hotel dell’improvvisazione senza conoscerne le regole, le gerarchie, i meccanismi; mi sento inerme, quasi senza una mia forma, disposta a cercare di comprendere il funzionamento di un mondo diverso, di farmi accettare. Il comitato d’accoglienza alberghiera ha il compito d’inventarsi logiche particolari, tutte sue, per accudire l’ignaro visitatore: lo staff arabo e africano, che a sua volta ha dovuto capire che cos’è una tigella, o come funziona il trasporto pubblico bolognese, ora detta legge. Solco la porta con spirito amorevole e ben disposto, mentre il portiere sembra quasi dirmi: «Ma lo sai che dietro una retorica c’è solo un’altra retorica…?».
Eppure non me lo dice; mi guarda svogliato, invece, e afferma: «Reggimi un po’ la porta, dai». Interdetta, resto con la maniglia in mano, lasciandomi superare dal gruppo di turisti che fino a un secondo prima era con me. Finalmente, per ultima, riesco ad entrare nell’hotel. Una ragazza con uno straccio in mano mi accoglie gioiosamente, per poi farmi notare a bassa voce, in tono confidenziale, le macchie per terra: «Io le pulirei un po’ meglio…».
Un cameriere mi parla in inglese, io non capisco. «Dice se vuoi portargli dell’aranciata. Certo che sei una capra, eh, per fortuna che ti hanno messa a pulire per terra». Da qualche parte sento cantare con giubilo qualcosa che non conosco ma che sembra di buon auspicio… Loro, per lo meno, se la stanno spassando. «E adesso che faccio?», vorrei chiedermi, «Come me ne vado da qua…?», ma non faccio in tempo a formulare il pensiero che già mi sto legando grembiule e cuffietta: sono così in tinta, così intonati ed eleganti.
Non finisce qui, ne sono certa. C’è qualcosa che non so, qualcosa che manca, qualcosa che devo scoprire per entrare in questo bellissimo hotel per davvero. Con lo straccio in mano, fingendo di pulire, protesa a captare qualsiasi segnale dai miei capi, mentre decifro inglese e le più raffinate sfumature semantiche di un dialetto gambiano, dimentico di protestare, o indignarmi, o insomma di far valere un qualche diritto che dir si voglia.
Parole: Teresa Vila
Cosa sono i Diari da uno spettacolo?