ESODI 10, Valzer corale

Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio interculturale Esodi del Teatro dell’Argine.
Contributi di Elena Guidolin e Teresa Vila.


Esodi-poster-spettacolo

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Disegni: Elena Guidolin


Bubacar è arrabbiato e se continui finisce che ti spacca la faccia. Occhio ai gruppi che s’incastrano, restate un po’ fermi finché chi vi sta di fianco non si allontana. Attenta che la tua voce in corridoio copre il mio pezzo nel piano rialzato. Il piccolo Nino chiede della sua gru, Alex delle sue chiavi, poi fanno un inchino e se ne vanno. Anna e Alice pescano storie lontane mentre Abdulaye e Piero ti sussurrano il loro racconto dolente.
E cercate, mi raccomando, di arrivare tutti insieme per il finale!

Entri all’Hotel Girotondo tra l’immancabile (e da tutti amatissimo) Bach, una tortuosa serpentina selezionatrice e messaggi di benvenuto affabili quanto ambigui. Ti separano dai tuoi amici con un braccialetto colorato – niente discussioni – sono quattro gruppi dai percorsi diversi: il rosso, il blu, il verde, il giallo. Come guida, ti prendo nel mio gruppo verde e ti accompagno per le sale dell’albergo.

Nella stanza dei quiz vedi l’ipocrisia di un mondo del divertimento che funziona con una logica a sé, ma che ricorda così tanto il nostro. (Nella stanza reality, penso ad un anno passato ad appuntare giù le idee prima che potessero sfuggirmi: esiste un posto dove è necessario raccontare le storie, dove sono preziose e non devono andare perdute).

Nella stanza delle finestre e nella stanza relax scopri un mondo lontano, ramingo, in costante movimento, tragicamente obbligato ad approdare al tuo. (Nella palestra penso a quante prove ci sono costate queste frasi dalla pronuncia “più italiana”).

Nel chiostro vedi una crepa, il sorriso finto si può incrinare… si rilassano i muscoli della faccia e si va a sbirciare alla finestra, per scoprire cosa c’è fuori. (Nella sala da ballo, capisco quello che tutti mi avevano detto: è il pubblico a fare la differenza nello spettacolo, la sua energia ci mette in moto, senza, c’inceppiamo).

Nella stanza delle lettere, al ristorante, ti accorgi che di differenze tra italiani e stranieri non ce ne sono. Abbiamo tutti le stesse responsabilità, siamo attori in forma o pessimi esattamente alla stessa maniera. Ci stiamo dentro e ci innamoriamo proprio allo stesso modo. (Per le scale, tra gli altri gruppi e attori di scene diverse, mi dico che come al solito mi sono incastrata in un’impresa troppo complicata…).

…Quando esci fuori all’aperto, vedi il viale alberato, vedi che ce ne andiamo, se ti va puoi applaudire, potresti avere un po’ di magone, puoi venirci a salutare quando abbiamo finito.

Quando usciamo fuori all’aperto, vediamo il viale alberato, ce ne andiamo, sentiamo l’ondata di adrenalina e gioia, il clamore della corsa, dell’inchino al pubblico, degli abbracci commossi.

…Poi capisci che lo spettacolo è finito.
Magari ti verrà in mente qualche passaggio difficile che devi ripassare, o un nuovo tono espressivo per dirlo meglio, e capirai con stupore che non ti serve più.
La tua parte si è conclusa, non devi più sapere le battute, non esiste più il tuo personaggio. Ora devi scoprire che farne di tutto questo lavoro, mentre chiudi le sue immagini dentro la valigia e te le porti dietro, di ritorno a casa dai tuoi a sudare fuori tutta la torrida estate, e Bologna con il suo hotel diventano sempre più lontani.
Siamo in cinquanta che stiamo facendo la valigia.

Guardate com’è grande, com’è complesso. Imparano tutti, il pubblico che viene a vederci, i familiari casalinghi o impiegati, così come i sindaci e i professori. Imparano gli allievi-attori, tutto il tempo e continuamente, cercando nuove strade per comunicare. E imparano gli addetti ai lavori, gli assistenti, gli aiutanti, i tecnici, i registi, chiedendosi i mille perché, i dove andiamo, i che facciamo.

Cosa fare di tutto questo insegnamento? Guardateci, quanti siamo, da quanti diversi posti veniamo. La domanda non è se diventeremo tutti attori, o se ci iscriveremo l’anno prossimo a un corso di teatro. La domanda è come ricordare e mantenere, fuori dagli orari del mercoledì sera, la serietà della burla che abbiamo imparato.

Lo direbbero Giovanni e Giulia. Se volete soffermare tra le dita il gioco, l’importante è danzare. Nella vita, durante la giornata, prima di andare a dormire. Mantenere il bello come insegnamento tattico e pragmatico.
Su, lasciatevi andare sulle note di un romantico valzer.

Glissez, mortels, n’appuyez pas.

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Parole: Teresa Vila


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Cosa sono i Diari da uno spettacolo?

 

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