Di gabbie, paure e altre scomodità

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Comfort zone is a type of mental conditioning that causes a person to create and operate mental boundaries. Such boundaries create an unfounded sense of security. Like inertia, a person who has established a comfort zone in a particular axis of his or her life, will tend to stay within that zone without stepping outside of it.
Tratto da Wikipedia alla voce “Comfort zone”.

[La comfort zone (lett. zona di comfort) è un tipo di condizionamento mentale che porta una persona a creare e gestire i confini della propria mente. Questi limiti creano un senso infondato di sicurezza. Come l’inerzia, chi ha istituito una comfort zone in un determinato asse della sua vita, tenderà a rimanere all’interno di quella zona senza fare un passo fuori di essa. N.d.R.]

Lo scorso autunno ho fatto un viaggio in Sudamerica.
Sono partita da Lima con uno zaino e tre mesi a disposizione che poi sono diventati due e infine ne è rimasto poco più di uno per l’esplorazione vera e propria. Allora ho dovuto tagliare e limare e ciò che è rimasto è lo scheletro di un itinerario: un elenco orribilmente simile a quelle liste I 100 luoghi da vedere una volta nella vita che spopolano sui social networks e non si sa bene chi le abbia scritte e soprattutto perché.
Comunque.
Ci sono caduta anche io. Ho tentato inutilmente di salvarmi evitando le folle di Machu Picchu, ma tanto prima o poi ci andrò, quindi il gesto di ribellione si può dire fallito.
Ecco, dicevo, comunque, anche buttarsi in una tana di turisti iper eccitati può essere interessante: si incontrano le persone più diverse per genere e origine, si sentono tanti discorsi, racconti, opinioni. E a me piace ascoltarli, poi mettere tutto insieme, guardare il puzzle che si crea e provare a descriverlo.
Osservo e vedo che anche chi viaggia sta perdendo quello spirito di avventura che ha sempre animato gli esploratori.
Certo, ormai non ci sono terre straordinarie da scoprire… ma che fine ha fatto quel romantico sentimento del viaggio, che ce lo fa sognare prima della partenza e ci riempie il cuore e poi gli occhi? E la voglia di spingersi oltre? Il gusto del rischio, del tuffo nell’ignoto! Com’è possibile che anche chi viaggia cerchi soluzioni veloci e già impacchettate che non lasciano quasi spazio a imprevisti, gusti e fantasie? o peggio si presta a servizi turistici “pick-up and delivery” tra hotel e pulmini con i vetri oscurati?
Il grandissimo Carlo Mauri (chi non lo conosce corra subito a leggere di lui per favore) diceva che quando si arriva in un luogo sconosciuto, non si deve andare a cercare qualcosa, ma bisogna che siano le cose che ci vengano a trovare. Altrimenti uno sta sempre dentro a quello che già conosce, perché lo sa riconoscere. Che poi è la traduzione e spiegazione nella lingua di un esploratore, di quello che nel linguaggio della psicologia viene chiamata “comfort zone”, ovvero “zona di comfort”: i limiti entro i quali sta tutto ciò che già conosciamo, la routine, le situazioni nelle quali siamo tranquilli perché le controlliamo. Come dice la parola stessa, racchiude tutto ciò che è comodo e facile: peccato che tutte le più grandi soddisfazioni, i successi di qualsiasi natura e la crescita stessa, si raggiungano nel momento in cui si fa quel passo fuori e si osa.
E allora ritroviamo il gusto dell’avventura, il gusto e il coraggio di mettersi alla prova, di sfidarsi e spingersi oltre con sfrontata fiducia e forte umiltà!
Ascolto e mi rendo conto, con un brivido di paura, che stiamo dimenticando come si sopportano il caldo, il freddo, il vento e perfino il sole. Un tempo si diceva: il sole “fa bene alle ossa”, ora il sole “invecchia la pelle e causa tumori”, il freddo che fortificava è divenuto un demonio che sembra possa ammazzarci in poche ore, la pioggia è portatrice di malanni inguaribili, il vento poi, si sa, è odioso da sempre. Bè, a me piace ancora ascoltarlo e respirarlo. Ma si sa che sono un po’ strana. Per non parlare della fatica. Perché se c’è una cosa che sappiamo fare bene è inventarci modi per evitarla, la fatica fisica… povera, superflua, temuta e incompresa! “Se ci si può arrivare in auto fin lì, non vedo perché andarci a piedi. Possiamo risparmiare tempo!” Sì, certo, gli schiavi del Tempo cercano sempre la vuota velocità, ma quanto è bella la lentezza piena di sudore e dettagli!
Stiamo diventando eleganti gatti per salotti borghesi, animali addomesticati che stanno perdendo la propria essenza e i propri istinti. Stiamo vivendo una sorta di adattamento all’inverso, una triste involuzione che ci allontana dalla terra e dai suoi elementi e ci fa chiudere in scatole di latta e cemento.
Vedo giovani perfettamente sani che hanno paura di una notte fredda in una tenda sulle Ande peruviane, di un viaggio in terza classe su un treno indiano perché “due ragazzi ci hanno raccontato che era pieno di topi”, di prendere un autobus da quattro soldi perché non c’è l’aria condizionata, di mangiare una fetta di anguria offerta sulla strada o addirittura di toccare due mani sconosciute…
Sono questi dei rischi? O sono forse occasioni perse?

Creiamo i nostri limiti, minacce e paure e più ne creiamo, più ne abbiamo paura, più ci chiudiamo nella nostra gabbia di sicurezze e piccolezze.
E se non saremo più in grado di uscire dal mondo che conosciamo?
Se non saremo più in grado di aumentare la nostra attenzione, di accendere la nostra capacità di adattamento, di affrontare gli ostacoli, come potremo crescere?
Lasciare la gabbia aperta, lasciare che le sicurezze vadano e vengano. Sporgersi. Saltare.

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2 pensieri riguardo “Di gabbie, paure e altre scomodità

  • 30 Gennaio 2014 in 12:31
    Permalink

    Cara Valentina condivido pienamente la differenza tra il viaggio ed il turismo, anche se con le possibilità di oggi tanti chiamano viaggio il turismo fatto in luoghi lontani solo perchè un po’ più scomodo. Ma in questo mondo globalizzato e pieno di attrezzature che ci permettono di scoprire già da casa i luoghi più lontani e ameni i veri viaggi del futuro saranno scoprire le anime delle persone che vivono intorno a noi riuscire a parlare toccare emozionarsi condividere i nostri pensieri anche senza andare dall’altra parte del mondo. Nel frattempo viaggia più che puoi.

    • 3 Febbraio 2014 in 18:25
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      Ciao Marisa, grazie del commento.
      Come ben dici, la tecnologia ci permette di scoprire da casa luoghi ameni…e forse il punto è proprio qui: non tanto nella differenza tra turismo e viaggio che ormai quasi non esiste più, piuttosto nel non desiderare “luoghi”, ma esperienze e incontri. Il viaggio della sensibilità, l’attenzione per le cose vicine di cui parli è bellissimo! Ma perché un tipo di viaggio dovrebbe escludere l’altro? Penso siano solo due momenti di un unico brano. Ciao e grazie per avermi fatto riflettere ancora

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