PARIGI, Non tutti i loro antenati erano dei Galli! Una visita al Museo della Porta Dorata

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foto: Hanan Boukhbiza

“Non tutti i nostri antenati erano dei Galli”

Con questo emblematico slogan siamo accolti nel Palais de la Porte Dorée, situato all’entrata del Bois de Vincennes e oggi sede della Cité de l’Histoire de l’Immigration, il museo della storia dell’immigrazione.

Il palazzo, già di per sé, è significativo: costruito nel 1931 per ospitare una grande expò internazionale e divenire poi stabilmente un “museo delle colonie”, era concepito per celebrare la gloria dell’impero francese (più o meno in quegli anni – 1936 – in Italia si proclama con gran pompa la resurrezione dell’impero romano grazie alla conquista della cosiddetta “Africa Orientale Italiana”: evidentemente gli imperi erano il chiodo fisso dell’epoca). L’aulica e sontuosa architettura déco del Palais rivela il suo fine celebrativo sia nella struttura, con l’imponente colonnato della facciata e l’elegante hall centrale, sia nelle decorazioni allegoriche che ricoprono esterno e interni. Il bassorilievo della facciata rappresenta nientemeno che la Francia, in guisa di dea dell’abbondanza, mentre riceve in dono derrate di ogni genere dalle colonie, a destra l’Africa e a sinistra l’Asia. Queste ultime sono rappresentate da lavoratori – verrebbe da dire schiavi – africani e indocinesi dalla forte caratterizzazione etnica.

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foto: Hanan Boukhbiza

Gli imperi degli anni ’30 nascondevano, però, una fragilità pari solo alla loro spocchia e ben presto il grande Palais de la Porte Dorée si dovette rassegnare ad ospitare una più neutra “collezione di arte afro-orientale”. Infine anche quest’ultima lo abbandonò all’oblio (forse quel suo aspetto così imperiale era fonte di imbarazzo) finché, negli anni 2000, ecco il rilancio nella nuova veste: un museo sull’immigrazione. Questa decisione probabilmente avrebbe fatto inorridire i suoi ideatori, ma oggi sicuramente suggerisce una nuova e imprevista lettura delle allegorie scultoreo-pittoriche che lo ricoprono.

L’esposizione è di grande efficacia didattica: abbraccia l’arco di due secoli, il XIX e il XX, ripercorrendo le diverse ondate migratorie verso la Francia, tra cui quella italiana che è stata a lungo la principale. Si parte dagli eventi e dalle condizioni che causarono i vari esodi, per arrivare ad analizzare gli apporti alla società francese in termini di produzione culturale: nuovi vocaboli entrati in uso, nuovi prodotti alimentari e ricette esotiche divenute comuni, nuovi strumenti musicali, balli, suoni, insomma tutte le componenti che caratterizzano e arricchiscono la Francia di oggi. Inoltre indaga aspetti come l’autorganizzazione interna di ciascuna comunità di migranti, l’impatto sul mondo del lavoro e della produzione, il montare di idee e movimenti xenofobi e razzisti (la cui crescita di solito appare coincidente con le fasi di crisi economica) e le risposte politiche e sociali elaborate dalle organizzazioni, nonché dai movimenti solidaristici e internazionalisti.

Di fronte a una prospettiva storica di tale profondità, le meschine convulsioni razziste di casa nostra, ad esempio ogni qual volta si profila l’ipotesi di aprire una moschea in una città italiana, ci appaiono in tutta la loro grettezza: non a caso a Parigi la Grande Mosquée, con i suoi tetti verdi e il suo minareto in stile moresco, campeggia sulla rive gauche del quartiere latino fin dal 1926! Ospita un’istituzione culturale che promuove il dialogo interreligioso e accoglie non solo i fedeli, ma anche numerosi turisti e curiosi offrendo loro, tra l’altro, un apprezzatissimo caffè-pasticceria in stile arabo e un rilassante hammam (il bagno turco).

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foto: Hanan Boukhbiza

A quel punto, a noi provinciali venuti dall’Italia non restava che rifugiarci nelle sale rinascimentali del Louvre per recuperare un minimo di autostima…

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