CANTIERI METICCI 9, Il senso delle cose

Diari da uno spettacolo 2015
al laboratorio teatrale di Cantieri Meticci.
Contributi di Michele Benincasa e Lucia Bonini.


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avatar_MicheleDisegni: Michele Benincasa


Cosa farne del teatro? La mia risposta, se debbo tradurla in parole, è: un’isola galleggiante, un’isola di libertà. Derisoria, perché è un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambia il mondo. Sacra, perché cambia noi.
Eugenio Barba, Odin Teatret

Per noi che viviamo dopo Auschwitz, che assistiamo ogni giorno a crimini e conflitti, sempre più feroci e dilanianti, che persino gli onnipresenti media non riescono a seguire… Per noi, inorriditi e angosciati, di fronte a stragi e massacri indicibili che poi velocemente spariscono dalle pagine di giornali o dagli schermi… Per noi, che sempre più spesso ci sentiamo “circondati” e innalziamo con ostinazione mura e torri difensive che, in realtà, non ci fanno sentire meno impotenti, anzi! Per noi che non sappiamo più scorgere la realtà, l’umanità dietro il muro, dietro gli sbarramenti…
Per noi ha ancora senso fare teatro o assistere a spettacoli teatrali?
Domanda da un milione di dollari, un po’ retorica, forse, ma che oggi molti si pongono. Mi piace riportare una frase di Krzysztof Warlikowski, regista teatrale e autore tra i più importanti del teatro contemporaneo polacco: «Questo è esattamente il motivo per cui il teatro dovrebbe esistere e il luogo dove dovrebbe cercare la sua forza: per gettare uno sguardo laddove è vietato guardare». Il teatro, dunque, come sguardo sull’indicibile, sul proibito, sull’inspiegabile, radicato nella verità, nella forza del presente che sta accadendo: «Il teatro – osservava Grotowski – non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me».
La riflessione nasce durante una delle ultime prove del laboratorio teatrale di Cantieri Meticci per richiedenti asilo politico, che tra qualche giorno si sposterà a Villa Aldini, in vista dello spettacolo del 20 e 21 giugno.
Ospite della serata è Giovanni Dispenza, attore, autore e regista teatrale, impegnato a insegnare agli attori alcune tecniche di base della clownerie, come ad esempio la famosa “marcia dei clown”, una parata che si trasforma in un passo di cavalli, che a sua volta riecheggia un passo d’oca di triste memoria, oppure, subito dopo, una nave che ondeggia.
In una breve e informale intervista, chiedo ad Alice Marzocchi, aiuto regista, un commento sul lavoro fin qui svolto dal gruppo. Alice ritiene che le finalità iniziali del progetto siano state realizzate anche grazie a un gruppo di attori maggiormente coeso e attivo; ciò che le è piaciuto di più in tutta l’esperienza – aggiunge – è senza dubbio la riflessione sul teatro a partire dalle domande: Il teatro salva la vita? L’ha mai fatto?
Interrogativi – osserva Alice – validi soprattutto per i migranti e richiedenti asilo che partecipano al laboratorio e che sono anche “acrobati nella vita”, perché ogni giorno devono provare e riprovare a tenere tutto in equilibrio: casa, lavoro, famiglia lontana; mentre aspettano che qualcuno si decida a concedergli quel documento che può cambiare molto nella loro vita. Come gli acrobati del racconto di Englander, i quali provano fino allo sfinimento per portare in scena il migliore spettacolo possibile, anche se deboli per la fame e le malattie.
«Un’impresa assurda, pensa Mendel [uno dei personaggi del racconto] ma in fondo non meno incredibile e assurda della situazione da cui sono fuggiti, della magia che faceva scomparire gli ebrei che salivano sui treni merci».

avatar_LuciaParole: Lucia Bonini


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Cosa sono i Diari da uno spettacolo?

 

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