Il workshop con Steve Lambert
Questa puntata dei Diari da uno spettacolo è dedicata al regista Steve Lambert del Badac Theatre di Londra, che è venuto all’ITC Teatro di San Lazzaro per tenere dei laboratori all’interno del progetto interculturale Acting Diversity. Nella prima parte di questo post troverete un’intervista a Steve, che ci parla del suo lavoro teatrale e dei workshop tenuti insieme alla Compagnia dei Rifugiati e al gruppo di giovani attori Crossing Paths. Nella seconda parte Antonella Selva degli Expris Comics ha realizzato delle tavole disegnate durante l’incontro tra il regista inglese e i ragazzi della Compagnia.
Passiamo la parola ad Antonella:
Steve propone una struggente poesia di Ghazi, rifugiato che oggi vive in Inghilterra: Lettera dal carcere. Il regista guida gli attori nella ricerca della cifra più vera con la quale interpretare i versi. Anch’io allora raccolgo il suo stimolo e provo sperimentarne un’interpretazione grafica, poiché non conosciamo l’autore, ho preso in prestito il volto di Steve, che ci ha fatto conoscere i suoi versi.
Letter From Prison
My son
Forgive this yearning
And my absence
Sadly, you came when I was away
And stole the joy of your arrival.
If you were to ask about me
Don’t ask the sun
Ask the prison and its cell
For the answer is etched
In lashes that cover my body,
Lines
That can be read by the blind
Mute lines, there is nothing
They can declare
Except to speak of torture.
My son,
when they said you had arrived
I was filled with joy
The wounds on my body smiled
And my shackles cried
In despair
My heart set out for you
On a journey of longing
Filled with yearning
And love
And blame
My soul also took flight
Crawling on the surface of the clouds
Like a starving child
So wracked with hunger
He ate dirt
My son,
Here I am, a present for you
Sweet feelings that speak softly
To your tender age
Let them be as food and drink
That nourish
And bring you joy.
Lettera dal Carcere
Figlio mio
Perdona questo desiderio
E la mia assenza
Purtroppo tu sei arrivato quando io ero via
E rubavo così la gioia per il tuo arrivo.
Se dovessi chiedere di me
Non chiedere al sole
Chiedi al carcere e alla sua cella
Perché la risposta è incisa
Nelle frustate che ricoprono il mio corpo,
Linee
che possono essere lette dal cieco
Linee mute, non c’è niente
Che possano dichiarare
Tranne parlare di tortura.
Figlio mio,
Quando hanno detto che eri arrivato
Ero pieno di gioia
Le ferite sul mio corpo hanno sorriso
E le mie manette hanno gridato
Di disperazione
Il mio cuore è partito verso di te
In un viaggio di desiderio
Pieno di voglia
E amore
E colpa
Anche la mia anima ha preso il volo
Nuotando sulla superficie delle nuvole
Come un bambino affamato
Così distrutto dalla fame
Da mangiare la polvere
Figlio mio,
Eccomi qua, un dono per te
Sentimenti dolci che parlano delicatamente
Alla tua tenera età
Che essi possano essere cibo e bevanda
Che ti nutrono
E ti portano gioia.