Resoconto di debutto

15--beccia

In prevalenza molto nuvoloso con precipitazioni anche a carattere di rovescio o temporale.

(domenica 15 giugno 2014, Bologna, Meteo)

E invece no, non ha piovuto. Nessuna precipitazione a carattere temporalesco. Soltanto qualche gocciolina nel pomeriggio durante l’allestimento. Goccioline innocue però, mi assicura Alice, quando io da ansiosa quale sono mi preoccupo dei proiettori montati sugli alberi. Fango, quello sì. Sul parco XI settembre ha piovuto come ovunque nei giorni passati, e sono rimaste qua e là pozzanghere a tradimento ben nascoste dall’erba. Abbiamo tutti delle scarpe poco estive, anche gli attori. Le attrici che hanno lavorato con me sono molte eleganti perché recitano la parte delle ricche figlie di un famoso chef egiziano. Sono vestite con abiti da cerimonia ma sotto le gonne portano tutte gli scarponi.

Cuoco alle polveri’ è uno spettacolo composto di scene dislocate nello spazio scenico. Ognuna viene allestita in un punto diverso del parco. Noi, con il nostro ‘chef Lear’, siamo in un angolo delle mura che circondano il parco, sotto due alti alberi. All’angolo opposto ci sono Romeo e Giulietta, nella cucina iraniana. Il Digiunatore è in fondo, vicino alle giostre. Più giù si mette in scena la storia del giovane straniero infiltrato in una cucina. Lungo il muro di cinta Antar, Natalia e Judith, su due poltroncine da salotto, raccontano le Istruzioni ai domestici. Nel centro del parco, davanti allo schermo bianco usato per la rassegna cinematografica Boff-Cineporto, si raccontano con video e teatro i retroscena della vita di un uomo e di un ristorante. Il pubblico dovrà muoversi da un punto all’altro del parco per vedere tutte le scene. Ogni gruppo dovrà ripetere la sua scena per tre volte. «E noi come facciamo?» Mi chiedono gli attori del mio gruppo di lavoro.

Il nostro personalissimo Re Lear si svolge in una cucina. In questa cucina succede di tutto. Cinque personaggi che non hanno mai fatto un piatto di spaghetti in vita loro si rimboccano le maniche per preparare un intero menu per 50 coperti. Il risultato è un disastro: finisce tutto in un litigio in cui si tirano addosso manciate di spaghetti impastati con acqua, farina, polpa di pomodoro e qualcos’altro. Per l’occasione gli uomini sono in cravatta e le donne in lungo. I vestiti li abbiamo trovati in Montagnola da una signora che vende abiti da cerimonia americani (chissà come mai), alla quale siamo riuscite a strappare solo 3 euro di sconto mentre cercava di liberare una ragazza che era entrata non si sa come in un vestito di due taglie in meno della sua («Vieni qui tesoro, prima che diventi viola»). Questi meravigliosi abiti dopo la prima replica sarebbero diventati degli impiastri ambulanti.

Mi armo di straccetti, spugnette e speranza. «Ci teniamo alle prime due repliche, ma alla terza ci buttiamo sul pomodoro» mi dicono. Sul parco cala il buio. La darbuka di Ahmed dà il via alla scena. Si comincia. Sull’erba si srotola la storia di Ossama, immigrato egiziano, che abbiamo faticosamente cercato imbastire insieme per mesi. Un uomo arrivato in un paese straniero senza nulla, riesce a costruirsi il successo grazie al libro di ricette di famiglia, l’unica cosa che possiede. Diventa uno chef rinomato, si costruisce una famiglia, diventa ricco lavorando, lavorando e ancora lavorando. Quando, avanti negli anni e stanco, vuole fermarsi, si accorge che non può perché non ci riesce. E la vita è finita inseguendo qualcosa, passata troppo in fretta per lasciarsi afferrare.

Tutto va come deve: la farina vola, i camerieri offrono al pubblico foglie di insalata impastate di piselli e acqua, la polpa di pomodoro schizza dalle latte, i tre libri di ricette pazientemente creati da Luana Pavani, la scenografa di tutto lo spettacolo, vengono fatti a pezzi. Nel buio del parco giungono gli echi degli altri spettacoli. Le percussioni sulla tavola dove giace il digiunatore, «Oh Romeo, Romeo! Perché sei tu, Romeo?», i volti di Naveed e Alì che monologano in video campeggiano al centro del parco. Tra l’una e l’altra replica laviamo in fretta, alla fontanella provvidenzialmente vicina, i giganteschi pentoloni dagli impasti di farina e pomodoro.

Non posso ringraziarle tutte, le persone che hanno reso possibile questa esperienza, perché andrei ben oltre il numero di parole consentite per questo post. Cantieri Meticci sono tutti loro.

Viviana Salvati

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