Il Titanic in classe – Chi sono io? (terza puntata)
Riprende il nostro viaggio tra le pagine del libro a fumetti degli Expris Comics: Come il Titanic. Diario a fumetti di un affondamento. Il libro, nato dalla sinergia tra il gruppo di fumettisti e i Cantieri Meticci, fa parte del modulo trasversale che ho dedicato al tema de La peur, la paura, per le classi del triennio.
I ragazzi sanno che oggi analizzeremo la storia che apre il libro.
Scrivo alla lavagna il nome degli autori: testi di Innai Marini, illustrazioni di Federo Trofo e il titolo: Chi sono io? Martina mi guarda attonita e in un solo dire veloce: «Questa è una domanda che mi faccio da quando ero bambina e su cui puntualmente mi perdo!»
Mi appunto la sua suggestione e le dico che sarà il nostro punto di partenza per la discussione che seguirà l’analisi delle tavole.
L’aula è già stata “smontata” e l’atmosfera si fa carica di attesa. Sistemo libro e tavole sui banchi allineati e do loro il tempo di muoversi liberamente. Si spostano con un meccanismo ormai collaudato: portando con sé cellulare o penna e quaderno, silenziosamente osservano le tavole, passandoci accanto.
Inizia poi il viaggio vero e proprio: leggono la storia di una ragazza che sembra aver perso le sue certezze, che naviga a vista in un orizzonte che si dissolve liquido, oscillando tra molti interrogativi.
Si passano tra loro le prime sensazioni in qualche rapida battuta: nelle illustrazioni finali la donna è capovolta. «Sta cadendo?» «No, galleggia!»
«Le due mani qui sembrano sfiorarsi, ma una forse è solo immaginata» dice Giuseppe come parlando a se stesso.
Li vedo soffermarsi a lungo sulle due tavole finali: leggono e indicano le domande, le frasi che si susseguono inondando lo spazio.
C’è chi fotografa col telefonino: «Dopo voglio rileggermi le frasi, prof». Nicola fermo già da un po’ di lato, mi chiama. «Prof questa affermazione “Non ti sai vendere!” mi manda su tutte le furie ogni volta che me la sento dire. Ma che vuol dire? Sono un prodotto io? È di questo che dovrò convincermi prima o poi?»
Si spostano dopo aver letto e ci sistemiamo per il circle time. Martina prima di sedersi dopo un rapido sguardo a tutte le tavole chiede: «Ma è un sogno questa storia o è realtà?»
«E che differenza fa Martina – replica Carmen – Il punto non è se l’angoscia è vera o immaginata… il punto è quella domanda Chi sono io?»
Colgo lo spunto di Carmen e faccio ripartire dal titolo la discussione. «Perché questo titolo? E che c’entra col Titanic?» A pioggia arrivano le risposte e altre domande: la chiave della storia è una domanda a cui non sappiamo rispondere, o perché abbiamo perso delle certezze o perché non le abbiamo mai avute.
«Anche questo racconta di un naufragio» rilancia Giorgio.
«L’acqua è un elemento di distruzione, a me ha impressionato il suo infiltrarsi» risponde Liby.
Emanuele che in silenzio aveva seguito fin qui: «A me fa pensare al viaggio e alla navigazione e non so perché ai pirati… ai viaggi avventurosi in cui si lasciano certezze per conquistare nuove ricchezze».
Federica prende la parola e lancia una domanda che ha tutta l’aria di una provocazione: «Ma non essere riconosciuta non può anche corrispondere al non riconoscersi? E se in quel letto che si scioglie, si sciogliesse anche una parte di noi?»
«Certo – fa Nicola dal lato più esterno del cerchio – è come quando mettiamo una maschera e poi ci accorgiamo che non ci somiglia. Questa storia mi fa pensare al Gengè pirandelliano di Uno, nessuno e centomila. Che dice prof, agli autori sarà venuto in mente?»
«Beh, non saprei» gli rispondo emozionata.
Proviamo a chiederglielo?!
Di tutte le storie che abbiamo analizzato questa è in assoluto la mia preferita:
anche se la protagonista è una persona adulta, l’atmosfera è carica di quell’inquietudine tipica di noi adolescenti, alla nostra età vediamo crollarci intorno le certezze costruite da bambini, spesso ci sentiamo inadatti e il mondo sembra correre mentre noi rimaniamo fermi.
Il non vedersi riconosciuta dal padre sembra essere per la protagonista il punto di non ritorno, scatena in lei un malessere e un’incessante raffica di domande.
Credo che porsi la domanda “chi sono io?” sia molto importante, solo acquisendo la piena consapevolezza di se stessi ci si può far valere e riprendere il controllo della propria vita.
In quanto al metodo didattico 2.0 cosa dire? Una ventata di novità, un approccio giovane e più attivo alla materia… Fantastico!
Grazie Carmen! Molto intenso il tuo dire! Mi emoziona molto sentirti così dentro la storia e da insegnante non posso che esserne fiera!
Se la didattica 2.0 ha un senso è perché ci siete voi che vi lasciate prendere per poi guidarci in direzioni assolutamente inaspettate!
Complimenti a voi, agli autori e grazie all’editore che ci ha offerto questo spazio!
E ora chi ci ferma più?!?
(:
Questa è la storia che mi ha colpito decisamente di più per molti motivi anche personali! Fa riflette molto! Non so bene cosa potrei dire al riguardo… Sono molto d’accordo con Carmen! Spero che ci sia un continuo però di questa storia, non può assolutamente finire così… la ragazza si riprenderà e con aiuti sinceri come una vera amicizia o magari l’amore potrà ritrovare se stessa! I legami servono.
Ciao ragazzi . Sono dei bellissimi commenti! Emmanuel segui i balloon con i puntini. É nascosta lì una frase della protagonista che potrebbe piacerti! ! Anzi mi piacerebbe proprio un vostro parere su quella frase! 😉
Questa storia, tra quelle analizzate, è sicuramente la mia preferita. Anche se non ero presente alla lezione, dopo averla letta, la tavola che più mi ha colpito è quella delle due mani. Ho subito provato una sensazione di angoscia, quasi di sofferenza. Allungare la mano verso qualcosa o qualcuno per noi di fondamentale importanza che però si dissolve nel nulla. E ci ritroviamo soli senza più riuscire ad “aggrapparci” a cosa o chi, in un certo senso, può salvarci. Secondo me si potrebbe anche creare un parallelo tra questa tavola e la tavola della precedente storia in cui Jamil si aggrappa alla valigia. Esse viaggiano su due binari paralleli ma dalle direzioni opposte. Jamil si salva aggrappandosi al suo ricordo. La protagonista di questa storia non riesce a tenere la mano del padre che si dissolve nel nulla ed insieme ad essa si dissolvono anche tutte le sue certezze.
Buongiorno Giusy! Grazie di essere qui! Grazie per il tuo parallelo! Mi ha riportato al tema del “Come ci si salva?” che ha percorso l’anno scorso tutti i diari di uno spettacolo! Tanto ne abbiamo discusso insieme analizzandoli! A me piace pensare come diceva anche Emanuele ieri e come diceva Francesco qualche giorno fa che le scialuppe siano i legami che si riesce a costruire… il primo legame è quello con se stessi… quello che si rafforza dopo la domanda “Chi sono io?” che si sostanzia in un ricordo come in Jamil o che trova la sua dimensione nella costruzione di un progetto a più mani come ne La zattera.
E forse dopo questo percorso insieme qualcosa del genere è successo a noi… noi tutti… almeno io così sento! Viva!
Ciao Giusi. Bello il parallelo con la storia di Lopez!
Qui a Napoli diciamo sempre che l’insegnamento ci viene dato dalle strade che percorriamo, ma non solo, credo che anche dalla scuola ma fondamentalmente dai professori ci viene insegnato tanto. Uno dei nostri professori è proprio la prof. Auricchio che con questo progetto 2.0 ci vuole insegnare i valori della vita, vuole farci aprire la nostra mente x sprigionare tutte le nostre idee, per migliorarle, per renderle partecipe a tutti…. Tutte le storie che abbiamo letto fino adesso ci hanno dato tanto, ci hanno insegnato, ci hanno fatto aprire e ci hanno fatto imparare tante cose… La ragazza di quest’ultimo fumetto sembra essersi persa proprio come noi alla nostra età ci perdiamo in un bicchier d’acqua, affogando in milioni di domande senza riuscire ad avere risposta, ed ecco che ritorna la teoria del “come ci si salva?” Della storia di Lopez. Attraverso la tavola degli occhi, io credo che a volte potrebbe bastare anche guardasi allo specchio vedendo il nostro sguardo riflesso in esso per capire chi siamo, cosa ci manca, cosa vogliamo, e credo che grazie attraverso questa storia come le altre lette e analizzate possono servire per le persone che si sono perse, che non riescono più a capire chi sono e per riflettere e ritrovarsi.
Guardarsi allo specchio per ritrovarsi… Grazie Liby! Sì il primo movimento per ri-trovare un equilibrio dovrebbe essere sempre la spinta a guardarci dentro… per poi volgere lo sguardo verso chi è intorno a noi.
Grazie per averci fatto entrare nei tuoi pensieri! Bella condivisione!