FORESTIERA, Radici
Un Paese dell’Est
Ho 9 anni. Io e il mio fratellino dobbiamo essere ricoverati per accertamenti. Due infermiere ci portano in bagno. Dovrebbero farci la doccia, forse ne hanno poca voglia.
«La mamma vi ha fatto il bagnetto prima di venire qui?» chiedono.
«La mamma è in ospedale, ci ha portati qui il babbo e ci ha lavato solo i piedini» rispondiamo educatamente.
Scoppiano a ridere. Divento rossa. Vorrei sparire. Le infermiere ridono e io ho tanta voglia di piangere. Per la prima volta mi sento umiliata. Odio loro perché ridono del mio babbo, odio il mio babbo perché ci ha lavato soltanto i piedini.
Un Paese dell’Est
Ho 11 anni. Entro titubante in una biblioteca pubblica e dico a una signora che vedo dietro la scrivania che vorrei iscrivermi. Mi dà un modulo da compilare.
«Qui devono firmare i tuoi genitori».
«…ma la mia mamma è morta».
Mi guarda con tristezza, come se volesse dire “povera creatura”. Sono arrabbiata, tutte le volte che devo dire che la mamma è morta, mi fanno sentire diversa dagli altri bambini.
Entro fra gli scaffali pieni di libri avvolti in una brutta carta da pacchi. Per me è un mondo magico, pieno di sogni che posso toccare con le mie mani.
Scelgo tre libri… Vado a casa di corsa. Non vedo l’ora di immergermi in quel mondo sconosciuto.
Torno in biblioteca dopo una settimana. La signora è meno gentile.
«Hai già letto tutti i libri?» mi chiede un po’ scocciata.
«Questi due sì – rispondo sinceramente – ma questo l’ho solo iniziato e non mi è piaciuto».
«Non si può tornare in biblioteca ogni settimana – mi rimprovera – e poi, devi leggere tutti i libri che prendi in prestito».
Esco triste. L’accesso al mondo delle meraviglie è limitato!!!
Un Paese dell’Est
Ho 13 anni. Una vicina di casa mi ferma per le scale del nostro condominio.
«Senti, ho un po’ di abiti che mia figlia non porta più, vieni a vedere, potrebbero esserti utili» dice con un dolce sorriso e tanta compassione negli occhi.
Guardo i vestiti che mi vuole regalare. Certo che la figlia non li porta più, sono tutti vecchi e fuori moda, adatti a una poveraccia come me. Li prendo, ringrazio la signora e, appena si allontana, scoppio in un pianto disperato. Mi sento umiliata, per l’ennesima volta esclusa dal mondo delle persone “normali”. Odio la signora per il suo gesto, odio me stessa per non essere stata capace di rifiutare quel “dono generoso”.
Un Paese dell’Est
Ho 43 anni. Sono pluridiplomata e laureata. Ho una vita professionale molto soddisfacente. Guadagno bene. Mi sento una donna realizzata.
Non mi sono mai arresa di fronte alle difficoltà. Vado avanti nonostante la mia autostima sia sempre sull’altalena, una volta alta, un’altra bassa, anzi bassissima. Vado avanti forse perché razionalmente riesco a riconoscere il mio valore e so che tutte le incertezze che mi assalgono hanno le radici profonde nella mia infanzia.
Da 4 anni ho un compagno italiano. Decido di lasciare tutto, trasferirmi in Italia e ricominciare la vita con lui.
Italia
Il matrimonio è preceduto da una lunga sequenza di pratiche burocratiche che mi fanno sentire quasi poco desiderata in questo Paese. Poco dopo inizia un incubo.
Italia
Non mi sento più una donna realizzata. Sono diventata una “extracomunitaria” che ha sposato un italiano. Devo fare lunghe file per rinnovare il mio permesso di soggiorno, sopportare l’arroganza della maggior parte degli “addetti ai lavori”. Avrei potuto chiedere la cittadinanza italiana, ma non so se voglio far parte di questo Paese. Per ora, NO. Cerco un lavoro per riacquistare un po’ di autostima. Vado nell’ufficio di collocamento; compilo un modulo, rientro nella categoria operaio non qualificato. Non ci sono accordi fra i due Paesi per riconoscere la mia istruzione.
Italia
Un casuale incontro con un mio connazionale che passa le vacanze in Italia mi cambia la vita. È un anziano professore universitario. Parliamo, seduti in un bar.
«Allora, com’è la vita in Italia?» mi chiede.
«Beh… per me completamente diversa da quella nel nostro Paese, molto più triste e difficile» rispondo.
Non nasconde il suo stupore.
Gli racconto quanto noi siamo diversi da loro, quanto sia difficile vivere nel Paese che ci considera “morti di fame”; quanto loro si sentano superiori rispetto a noi sotto ogni punto di vista; quanto sia umiliante vivere con l’etichetta “extracomunitario”.
Il vecchio professore mi ascolta attentamente (finalmente qualcuno che sa ascoltare!), poi mi racconta un po’ della sua vita piena di distacchi dalle persone che amava e di trasferimenti.
Alla fine mi chiede: «Le posso dare un consiglio, da vecchio che ormai ha già vissuto la vita? – Faccio un cenno con la testa e lo guardo incuriosita. – Dimentichi un po’ le sue radici. Le radici non servono a niente, se non a complicare la vita di chi non riesce a staccarsi. Non importa dov’è nata e come era il suo Paese. Dimenticare le proprie radici non vuol dire rinnegare la propria patria, ma rendersi conto che l’unica cosa importante è la vita di oggi».
Ci salutiamo. Non riesco a capire il suo consiglio. Lo capirò dopo qualche mese e, da quel momento, la mia vita cambierà.
Italia
Sono una donna felice.
Ho capito il consiglio del vecchio professore.
Essere troppo attaccati alle proprie radici di qualsiasi natura siano, vuol dire essere “inesistenti”, lontani da tutto ciò che ti circonda. Una persona “inesistente” non può essere amata, apprezzata, presa in considerazione perché lei stessa non ama, non apprezza e non prende in considerazione niente, tranne quello che non fa più parte della sua vita.
Ho capito che negando tutto ciò che mi circondava in Italia, dividendo il mio mondo in noi e loro, mi sono cacciata a pedate io stessa da questo Paese, prima ancora di entrarci.
Ci sono le radici che nutrono, da non dimenticare mai, e “le radici morte” che ci tengono imprigionati nel passato senza nutrirci. Se non dimenticate ci trascineranno nell’abisso della “non-vita”, attirando solo gli eventi negativi e le persone uguali a noi.
E dopo che l’ho capito, ho cominciato a scoprire un mondo bello, pieno di ricchezze da ricevere e da donare.
Che fine hanno fatto le mie radici? Sono sempre con me, nelle vecchie fotografie, nei ricordi, nei piatti che a volte cucino, nelle amicizie che durano nonostante la distanza. Non mi creano più nessun disagio. Ho anche le radici nuove… italiane. E se un giorno dovessi andare via per scoprire altre terre, le mie radici le porterò sempre con me per poi aggiungerne nuove. E non esisterà più noi e loro. La mia casa sarà sempre dove vivrò io.
Forestiera