DJIBOUTI – Ho conosciuto mamme che voi umani… – Rotta verso sud (quarta parte)

Ovvero di quando mamme di diverse latitudini entrano a far parte della stessa famiglia molto allargata.

La storia di come un farmaco, un quaderno, un giocattolo e un vestitino attraversano una rotta tortuosa, ma virtuosa, fatta di meridiani e paralleli solidali per giungere poi a Gibuti, nella mia personale geografia fatta di latitudine, longitudine e fratellitudine.

(primaseconda e terza parte)

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A volte piccoli e grandi segni incrociano i nostri passi ma occorre tempo prima che riusciamo a coglierne le connessioni, ammesso che riusciamo a coglierle…

Sto attraversando il reparto maternità e pediatria dell’ospedale Balbalà, dove le camere di degenza non hanno mai letti vuoti. Il numero delle nuove nascite in un anno, più di 3000, si avvicina a quello delle nascite complessive a Bologna, sempre all’anno. In ogni famiglia c’è una media di almeno dieci figli, senza contare chi non ce la fa nei primi tre anni di vita. Voglio dire che qui, per gli abitanti della baraccopoli, la contabilità della prole passa comunque dal mantenere fisso il numero dei figli intorno ai dieci, anche se non si ha un lavoro. Per chi invece ha un lavoro fisso, che sia di livello basso medio o alto, spostandosi dalla baraccopoli verso la città, la media cala da dieci a circa sei, sette figli.

Mentre proseguo nel corridoio annuso i soliti odori di disinfettante, umanità e pappine, mescolati nel caldo umido da inutili ventilatori. Sbircio nelle camere i materassi sui letti: quasi sempre sono senza lenzuola ma con un telo colorato portato dalla mamma, di solito seduta per terra perché questa è l’usanza; il bimbo è sul letto, nascosto sotto il telo per via delle mosche, oppure in braccio. Mi chiedo, sapendo già la risposta, chi si occupa degli altri nove tra fratelli e sorelle rimasti a casa, anzi nella baracca. Se ne occupano sempre altre sorelle o zie o cugine o nonne, per consuetudine delle famiglie di qui, tutte matematicamente allargate.

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Esco dal reparto e vado nel cortiletto esterno dove, col tempo e qualche donazione, le eccezionali infermiere ed ostetriche sono riuscite a ricavare uno spazio di gioco per i piccoli degenti, all’ombra di una tettoia. In mezzo a tante mamme con i bimbi vedo molti giocattoli, alcuni spediti da noi. Ed ecco, riconosco un nostro gioco che in realtà non avrei voluto spedire; ne riceviamo tanti, naturalmente usati, ma cerchiamo di non spedire cose che poi rischiano di diventare rifiuti, come quelli che richiedono batterie o i peluche, difficili da lavare in un posto dove l’acqua deve avere altre priorità. Mi ricordo che quel giocattolo di plastica, di quelli che suonano musichette premendo dei pulsanti, era stato scartato proprio perché a pila e lasciato in magazzino; poi un giorno, mentre stavamo preparando i cartoni da spedire, era stato aggiunto ad altri giochi per errore. Ce ne accorgemmo in seguito mentre con il furgone andavamo a La Spezia a caricare il container: a ogni curva o buca il giocattolo veniva schiacciato e così, nelle tre ore del viaggio, suonò più volte tutto il repertorio. Nelle operazioni di carico ce ne dimenticammo e probabilmente, come un solitario artista da crociera senza pubblico, suonò spesso durante il viaggio nella stiva della nave.

w_IMG_8417Nello stesso periodo in cui il giocattolo navigava verso sud, meno di un anno fa, io iniziavo la mia collaborazione con questo blog. Il suo logo inconfondibile, nonché metafora del viaggio lento in cui anche incrociare segni, è una simpatica chiocciolina, esattamente come quel giocattolo con cui ci siamo ritrovati.

Nell’area di gioco incontro l’infirmier major Safya, cioè la caposala della pediatria. Porta in braccio un fagotto ordinato di vestitini per neonati e bimbi piccoli; li ha presi dai cartoni che ho portato stamattina, arrivati da poco dall’Italia. L’organizzazione di questo ospedale prevede infatti che alla dimissione di mamma e bimbo venga dato loro un kit di vestitini, come forma ulteriore di aiuto alle famiglie più bisognose. Naturalmente tale disponibilità dipende da quanto riusciamo a raccogliere e spedire. Anche in questo caso s’incrociano segni: come qui a Gibuti tutte le donne sono una famiglia allargata che si occupa dei piccoli, anche in Italia, tra chi conosce Crewforafrica, ci sono tante donne e mamme che applicano la fratellitudine… anzi, la sorellitudine.

Il vantaggio dei vestitini è che essendo indossati per poco tempo non si logorano e quindi possono essere donati ancora nuovi. Una giovane mamma che conosco, ma non è l’unica, ha già previsto una tabella di utilizzo suddivisa per taglie dei vestiti dei suoi due bimbi; al momento giusto i vestiti passeranno a una amica con già un figlio della taglia adatta, poi al secondo in arrivo e infine alla pediatria a Gibuti.

Ho conosciuto mamme che voi umani non potete immaginare…

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