EUROPA DI CONFINE, Il pieno, il vuoto. Di ritorno dal Monte Athos (parte 2)

Eravamo partiti alla volta del Monte Athos con la tipica incoscienza dei viaggiatori. Nessuno di noi sarebbe stato in grado di entrare in quel territorio autonomo, retto come una repubblica indipendente e teocratica da un gruppo di monaci ortodossi. Nessuno di noi, di fatto, ne poteva condividere o mettere in pratica le regole, ma eravamo attratti da quel luogo che, a modo suo, era “esotico”, e ancora di più rappresentava un confine d’Europa molto particolare: non si trattava tanto di un confine cruento, come quelli di Lampedusa o Ceuta e Melilla, quanto più di un territorio dedicato interamente alla contemplazione e alla cura dello spirito – succeda quel che succeda, nel resto del mondo… Mondo che, nei pressi del Monte Athos, continuava a fluire in massa, sfidando le frontiere europee.

Ci interessava capire come affrontare questa enorme, affascinante contraddizione; il Monte Athos, però, era destinato a restare un miraggio, confermando la sua inafferrabilità. A metà circa del percorso, quando il profilo del promontorio iniziava a farsi meno azzurrino, stagliandosi nettamente all’orizzonte, ci eravamo accorti di non avere abbastanza benzina per procedere oltre.

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Mentre guardavamo un po’ delusi il promontorio davanti a noi e che mai avremmo raggiunto, ci rendemmo conto anche di un altro dettaglio inquietante: non avevamo più benzina… Perché nessuno l’aveva.

Ci eravamo già fermati un paio di volte, lungo il tragitto, per fare il pieno, ma i distributori erano desolatamente chiusi. Qualcuno aspettava sulla soglia, ma, alla nostra richiesta di carburante, c’era chi aveva risposto in modo sprezzante, in greco, chi si era limitato a sorridere e chi si era messo a imprecare e sputare per terra. Invece di andarcene via alla svelta, avremmo dovuto capire che quelle imprecazioni erano dirette contro lo Stato e l’economia del Paese, colpiti dalla crisi e attraversati per la prima volta, proprio nel 2010, da un imponente sciopero dei rifornimenti.

A quel punto, mettemmo in moto e ci dirigemmo a ritroso, attraversando una terra secca e bruciata dal sole, dove, per chilometri e chilometri, non si vedeva che qualche casa stalla, perlopiù abbandonata. Iniziava a prenderci il timore di dover restare tutta la notte lungo quella strada, sperando in un improbabile autostop o in un soccorso in elicottero per turisti scemi che, in quelle condizioni di scarsità di carburante, avremmo dovuto, giustamente, pagare un occhio della testa…. Di conseguenza, presi da tutte queste paure, viaggiavamo a velocità più o meno regolare, per non eccedere nel consumo della benzina che restava, abbassando o alzando i finestrini a seconda del vento, spegnendo addirittura l’autoradio per evitare qualsiasi tipo di consumo extra – teoria un po’ strana, ma che, almeno, ci consentì di non vivere quei momenti di timore con la colonna sonora ripetitiva, e che iniziava ad essere un po’ irritante, dei Savage Garden

In realtà, arrivammo piuttosto agevolmente a valle, dove si poteva notare un’enorme fila di auto, ferma presso l’unico distributore aperto. Erano tutti disposti, noi compresi, a fare benzina a peso d’oro, manco fosse stato champagne. Poco importava il danno arrecato dalla crisi, e la beffa, da parte di chi, in questa situazione, continuava a lucrare. Era importante fare il pieno e, magari, affacciarsi sul monte Athos per apprezzare il vuoto, metaforico, della contemplazione. Senza capire quali altri “vuoti” sarebbero arrivati, in seguito, con la crisi…

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Con un misto di sollievo e di indignazione, per la situazione drammatica della gente del posto, ci incamminammo verso casa, dimenticando il monte Athos alle nostre spalle e mangiando le ultime ciliegie rimaste.

Chissà quando sarebbero ritornate a esserci, nei supermercati, con questo blocco dei rifornimenti.

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