EUROPA DI CONFINE, I cani di Rila

“Fare il cane del Sinai” pare sia stata locuzione dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto altopiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata dagli studiosi, il suo significato oscilla tra “correre in aiuto del vincitore”, “stare dalla parte dei padroni”, “esibire nobili sentimenti”.
Sul Sinai non ci sono cani.

FRANCO FORTINI, I cani del Sinai (1967)

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Nonostante il viaggio verso il monte Athos si sia rivelato un fallimento (o meglio, un tentativo di avvicinamento che si è risolto, infine, nella scoperta della ricchezza che è propria della distanza), recuperiamo velocemente sulla tabella di marcia e, sulla strada del ritorno, abbiamo comunque il tempo di visitare un importante monastero ortodosso. Forse dobbiamo ancora placare il desiderio di fede che è sorto, spontaneamente, quando ci siamo ritrovati in riserva “sparata” in mezzo al nulla, o quasi, durante uno dei primi scioperi di carburante che hanno costellato la crisi greca.
Forse, però, stiamo seguendo un’intuizione un po’ diversa: perché ci sarà da vedere qualcosa anche lì, no?
Fatto sta che, percorrendo a ritroso la strada tra Salonicco a Sofia, facciamo una piccola deviazione verso una regione verde e tranquilla del sud della Bulgaria e ci fermiamo presso il monastero di Rila, il più importante, secondo la guida, di tutto il Paese.

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Lasciamo perdere le indicazioni storiche della nostra Lonely Planet: poco ci importa che a Rila sia stato sepolto Boris III, zar di Bulgaria dal 1918 al 1943. In realtà, ci ispira un certo disagio sapere che il monastero ha accolto le spoglie di un uomo politico che, in vita, fu alleato della Germania nazista, salvo poi guadagnarsi la gloria nazionale per essersi opposto alla deportazione degli ebrei bulgari e aver lasciato socchiusa una “porta di servizio” per la Russia di Stalin. Ci sembra di sentire quelle forme ipocrite di memoria nazionale che circolano ancora oggi in Italia: …perché lui ha fatto anche delle cose buone, poi certo le leggi razziali sono stata un’altra cosa…

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Rila è un luogo degno di menzione per almeno tre motivi: gli affreschi della scuola di Zahari Zograf, l’imperturbabilità dei monaci che non fanno quasi caso ai turisti, evitando ogni tipo di mercimonio (che sia visibile), e, naturalmente, i cani.

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Nel monastero di Rila, contiamo almeno quattro o cinque pastori tedeschi che circolano liberamente nei cortili e negli spazi aperti al pubblico. Sono docili, inoffensivi, abbacchiati, si potrebbe quasi dire che sono malinconici. Eppure, non sono spelacchiati e sembrano anche bene in carne: è sicuro che qui il cibo non manca e sono trattati bene.
Da chi, però, non è dato sapere.

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Sono cani che, nel corso di tutta la giornata, guardano i turisti, uno a uno, entrare nel monastero. Li guardano da una vita. Poi si dirigono ciondolando verso i monaci, ma questi sembrano imperturbabili anche nei loro confronti. Così, per loro, il tempo passa, ma non passa veramente: in questa doppia velocità si giunge a una sintesi di verità, che, per forza di cose, è multipla. C’è una verità, in questo luogo, per l’osservazione mistica, che lasceremo ai monaci; una per l’osservazione storica, che lasceremo ai visitatori della tomba di Boris III; una, che manca di definizione previa, per i cani.
Fuori c’è la crisi, qui si percepisce quasi unicamente la malinconia di alcuni cani ben pasciuti ma abbandonati a loro stessi, quasi fossero un’ultima forma, disinteressata, di contemplazione del sacro.
In Grecia, invece, non ci sono cani, per parafrasare la citazione di Franco Fortini riportata in esergo. Nel 1967, Fortini partiva da quelle parole «non ci sono cani sul Sinai», per criticare ferocemente l’intellighenzia italiana, anche di sinistra, del suo tempo, “accorsa in aiuto del vincitore” dopo la guerra dei Sei Giorni.
Probabilmente, anche oggi c’è un’intellighenzia, in tutta Europa, che guarda alla Grecia, facendo un gioco simile a quello dei cani del Sinai: guarda con gli occhi dei padroni, esibisce nobili sentimenti – “europeisti”, in genere – e poi chiede con una mano la restituzione del debito, mentre con l’altra continua a strozzare…
Nel monastero di Rila, invece, i cani ci sono, e sembrano essere gli unici a conoscere le ultime parole di Zelman Lewenthal, ebreo del Sonderkommando del crematorio II di Auschwitz-Birkenau, morto il 15 agosto 1944, parole riportate anche da Fortini alla fine del suo libro: Se non vuoi più credere alla verità, nessuno vorrà più credere a te.

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